Sudafrica, 1981. Gary Player e Sol Kerzner, magnate dell’hotellerie internazionale, ufficializzano la nascita di un nuovo evento che finisce dritto-dritto su tutte le pagine dei principali giornali dell’epoca.
Lo chiamano ‘One Million Dollar Challenge’. Per la prima volta nella storia del golf un torneo riservato ai professionisti offre la stratosferica cifra di un milione di dollari di montepremi. Giusto per fare le dovute proporzioni e capire bene la portata della notizia, Tom Kite, che quell’anno vinse l’Ordine di Merito del PGA Tour, intascò un totale di 375.699 dollari in 26 tornei giocati frutto di una vittoria e tanti piazzamenti.
La prima edizione del One Million Dollar Challenge venne così giocata a cavallo di Capodanno del 1982 da soli cinque giocatori (e che cinque). Severiano Ballesteros, Johnny Miller, Jack Nicklaus, Lee Trevino e appunto Gary Player.
Ballesteros e Miller chiusero primi, con Nicklaus un solo colpo dietro. Miller poi sconfisse Ballesteros dopo un combattutissimo playoff, portandosi a casa 500.000 dollari di prima moneta.
Sei anni dopo, nel 1987, l’assegno per il vincitore fu portato addirittura a un milione di dollari e fu il gallese Ian Woosnam, poi campione Masters nel 1991, a diventare il primo giocatore professionista nella storia del golf a intascare in una sola gara una cifra simile. A Curtis Strange, che quell’anno si impose nell’ordine di merito del massimo circuito statunitense, ovvero il più ricco al mondo, gli servirono 27 gare e tre titoli per portare a casa più o meno la stessa somma.
Quarant’anni dopo il golf professionistico mondiale sta vivendo oggi un altro turning point epocale, destinato però questa volta a cambiare per sempre i suoi equilibri geopolitici e non solo.
La neonata LIV Golf, la superlega sovvenzionata dal governo saudita, ha generato un vero e proprio terremoto a suon di milioni di dollari. Per l’esattezza 255, ovvero quelli messi in palio per otto eventi da giugno a ottobre a 48 giocatori, senza contare gli ingaggi individuali per strappare i top player ai relativi circuiti.
Dustin Johnson per esempio, uno dei primi grandi nomi ad accettare le sirene saudite, si è messo in tasca un assegno di 120 milioni. Più o meno quelli che un mito vivente come Tiger Woods ha guadagnato in 25 anni di onorata carriera.
Ma a differenza di Gary Player, che dagli Anni ‘80 al 2000 contribuì personalmente alla crescita del Million Dollar Challenge coinvolgendo poi in seguito anche i massimi circuiti professionistici, questa volta Greg Norman, CEO del LIV Golf, non sembra proprio sulla stessa linea di pensiero.
La rottura diplomatica con il PGA Tour è stata netta sin dai primi contatti. Amplificata poi dalle clamorose esclusioni di tutti i giocatori che sono scesi in campo nella prima tappa della superlega al Centurion di Londra a giugno. La presa di posizione di Jay Monahan, Commissioner del PGA, se da un lato tutela gli interessi del circuito americano, dall’altro non ha messo fine al passaggio di altre stelle sotto l’ala di Norman. Ultimi in ordine di tempo Brooks Koepka, Bryson DeChambeau e Patrick Reed.
E nel caos che regna ecco arrivare a sorpresa la ‘non decisione’ del DP World Tour attraverso le parole del suo CEO, Keith Pelley. Pelley si è limitato a multare ‘i fuggitivi’ e sospenderli nelle sole tre gare co-sanctioned con il PGA, Scottish, Barracuda e Barbasol.
Una querelle quella a cui stiamo assistendo che sembra solo all’inizio ma che, per il bene del nostro sport, dovrà necessariamente riportare le parti intorno a un tavolo. Da anni il sistema golf necessita di allinearsi a una gestione non più monopolistica ma a una visione globale al passo con i tempi che cambiano.