Bisogna essere matti! Ultima buca del torneo, 180 metri all’asta posta a pochi metri dall’acqua di un insidioso green a isola. In testa al torneo parimerito e con il playoff praticamente garantito. Un piccolo errore e una giornata perfetta si trasformerebbe in un sogno volato via. Peraltro il torneo è l’Open di Francia, mica una gara qualunque. Un solo birdie a quell’ultima buca da parte di tutto il field e tre par nei primi tre giri. La vittoria non arriva dal 2019 ma anche i punti del secondo posto sarebbero importanti per garantirsi la carta del 2023. Insomma, ci sono tutte le premesse per un colpo a centro green e due putt. Troppo alta la posta in palio. Non se vi chiamate Guido Migliozzi. “Il pericolo mi ha sempre affascinato. Sin da bambino ho fatto un sacco di sport adrenalinici come il parcour, lo sci, la break dance e lo skate. Di fatto non stavo mai fermo e da allora sono sempre alla ricerca dell’adrenalina”.
Quindi scelta presto fatta: address venti metri a sinistra dell’asta per andarla a prendere con un fade intenzionale senza alcun tentennamento. Il risultato lo abbiamo visto: palla inchiodata a due metri dalla buca e successivo putt imbucato. Com’è stato?
“Un’esplosione di emozioni. È stata una giornata perfetta nella quale mi sono sempre sentito a mio agio in campo, senza alcuna tensione e consapevole di poter osare”.
Avevamo lasciato Guido a inizio stagione, alla vigilia del suo primo Masters. Un avvio difficile ma la speranza di fare bene nelle tante occasioni che sarebbero capitate nel corso dell’anno con tre major da giocare. I risultati sino all’estate sono stati altalenanti. 14° allo U.S. Open ma taglio mancato a Masters e The Open; decimo in Olanda ma nessun’altra Top Ten.
“Si impara molto di più dalle sconfitte che dalle vittorie. L’inizio è stato difficile da metabolizzare e digerire. Ho lavorato molto ma non riuscivo a portare a casa risultati. Non mi sono abbattuto continuando per la mia strada cercando di tornare ad alti livelli. Ora eccomi qui, con una vittoria che mi rende davvero orgoglioso”.
Il lavoro con Niccolò Bisazza sta dando i frutti sperati, ma anche quello svolto con Alberto Binaghi è stato importante. Come mai hai cambiato tornando al tuo primo maestro?
“Sono tornato con Niccolò prima di giocare in Olanda. L’esigenza era tecnica. Ho lavorato tanto con Binaghi, che è uno dei migliori coach a livello mondiale. Sono arrivato a un punto nel quale sentivo la necessità di fare un cambiamento tecnico perché in campo cercavo di eseguire dei colpi che in quel momento, con quello swing, non venivano. Sentivo la necessità di un ritorno alle origini tecniche e ho ricominciato a lavorare con Bisazza”.
Ecco, prendo spunto dalla tua ultima frase per approfondire il tema. Non è la prima volta che mi capita, seguendo la carriera di un professionista, di osservare precorsi di cambiamenti che poi riportano alle origini. A volte si cerca la distanza, in altri casi è una maggior efficacia sui green. Questo avviene anche quando ci sono risultati. Ma i cambiamenti sono necessari?
“Nella vita, e il golf non fa eccezione, si è sempre alla ricerca di un miglioramento. L’aspetto più difficile nel golf è comprendere quale tipo di movimento sia il più consono al tuo fisico, che permetta di sentirsi a proprio agio creando le giuste sensazioni e performance anche sotto pressione. Una volta individuato il movimento corretto non si effettuano grandi cambiamenti. I grandi campioni hanno sempre mantenuto la loro tipologia di gioco. Diciamo che siamo sempre alla ricerca di cambiamento e miglioramento anche se in realtà la parte difficile è capire se stessi”.
Hai fatto alcuni cambiamenti anche nella sacca?
“Non radicali. Da qualche anno sono nel team Callaway. Da Crans ho sostituito l’ibrido con un legno 5, un bastone che mi ha aiutato molto nelle ultime settimane, Parigi compresa, perché mi dà una grande fiducia e lo utilizzo anche dal tee”.
Ti sei reso conto del peso di questa vittoria?
“Non ancora, a parte il peso del trofeo! Per ora è tutto magico, quasi come vivere in un altro emisfero”.
A proposito, come va la vita a Dubai?
“Ultimamente io e Marta siamo stati in Italia ad Asiago in vacanza. Dubai è tutto uno show ma è comodo per gli spostamenti. Il nostro futuro però sarà in Italia, ci mancano gli amici e lo stare con la gente comune”.
Guido non smentisce se stesso. Seppur sia plurivincitore sul Tour è rimasto il ragazzo gentile e disponibile che praticava a Montecchia. Lui e Marta sono i classici ‘bravi ragazzi’ della porta accanto. Lo erano sul serio, visto che da bambini giocavano insieme. Poi qualche anno con compagnie diverse sino al colpo di fulmine.
“Un giorno ci siamo rincontrati quasi per caso, ci siamo guardati negli occhi e dal nulla è scattata la scintilla. Da allora, quattro anni fa, stiamo insieme”.
Quanto è importante avere la persona giusta al proprio fianco?
“Molto. Con Marta posso essere totalmente me stesso senza nascondere nulla. Parliamo la stessa lingua, compreso il dialetto veneto. Lei mi dà calma e fiducia, componenti fondamentali tanto nella vita quanto nel golf”.
Lei gioca?
“Sì, si sta avvicinando ora e le piace molto. A volte facciamo nove buche insieme e poi festeggiamo con uno spritz”.
Abbiamo visto i festeggiamenti anche dopo la vittoria a Parigi. Hai ricevuto molti messaggi di congratulazioni. Qualcuno in particolare?
“I fan mi hanno sempre fatto sentire la loro vicinanza e sono contento che abbiano gioito. Mi hanno scritto tutti gli italiani, Dodo e Chicco Molinari, Rocca e Canonica. Poi molti giocatori che hanno fatto la storia, come Luke Donald”.
A tal proposito, questa vittoria ha anche una portata non banale in ottica Ryder…
“L’accumulo dei punti è appena iniziato e la strada da percorrere ancora molto lunga. Ho iniziato bene. Il mio obiettivo è dare il massimo per guadagnarmi un posto in squadra”.
Un posto in squadra alla Ryder 2023?
Un’idea che sino a qualche settimana fa poteva apparire come un po’ matta. Proprio come giocare un secondo colpo simile alla 72esima e decisiva buca a Le National.