La storia del golf è costellata di giocatori che hanno raggiunto la gloria e poi sono passati attraverso lunghi periodi neri, prima di tornare al livello a loro più consono. È quello che sta succedendo a Francesco Molinari.
Francesco Molinari sulla sua stagione
Ho fatto una piccola pausa dopo la Scozia e l’Open Championship e la ripresa non è stata delle migliori né a Crans né a Wentworth.
Sono insoddisfatto dei risultati ma contento delle sensazioni e dei progressi nel gioco, oggi più che di quanto lo sia stato negli ultimi due anni.
Vedo cose positive, non ancora riflesse negli score.
Dopo risultati negativi ci sono sempre momenti di riflessione e si deve tenere conto di quanto dice il campo.
In questo momento devo cercare di essere più onesto possibile con me stesso e la conclusione alla quale sono arrivato è che ci sono cose che mi soddisfano e altre meno sulle quali lavorerò.
A costo di sembrare distaccato dalla realtà sono abbastanza positivo per il futuro a breve e medio termine.
Tornato da Wentworth ho guardato i numeri per impostare il lavoro prima del rientro in campo.
Non c’è un’area del gioco che mi sta dando particolari problemi. Penso sia una questione di concentrazione e abitudine nel mettere insieme uno score buono su 18 buche.
Non ho giocato molti tornei da luglio e può essere un aspetto che influenza il ritmo di gara.
Ora che il livello generale è soddisfacente devo fare un lavoro d’insieme.
Per essere un po’ più pratico e meno teorico, sto sfruttando ogni momento per andare in campo e giocare di più, anche con mio fratello Dodo o con gli amici quando sono a casa, e fare score.
Noi pro sappiamo meglio di tutti che il golf è un po’ una bestia misteriosa e magari ci ritroveremo tra due mesi e dirò che non ci avevo capito niente.
In venti stagioni da pro ho più o meno idea di quello che faccio. Sono severo con me stesso e penso di essere obiettivo.
Quando ci sono problemi di swing o aree del gioco deficitarie non ho remore ad ammetterle perché la capacità di analisi non mi è mai mancata.
Ora avverto i miglioramenti e sono consapevole che ci possono essere momenti di down che poi passeranno.
Francesco Molinari su Matteo Manassero
Guardate Manassero.
È uscito dal momento buio. L’ho visto in Scozia e a Crans, anche se non aveva giocato bene.
A Wentworth abbiamo fatto alcune buche insieme, con Roberto Zappa e Alessandra Averna ai quali ho fatto complimenti, perché credo che insieme a Søren Hansen abbiano grandi meriti.
Nel golf ci sono tante storie di giocatori passati da momenti bui e poi risorti.
Matteo, per fattore anagrafico e per il suo talento unico, ha una storia difficile da paragonare ad altre. L’ho visto solido su tutti i fondamentali.
Ha un talento difficile da trovare in altri sportivi.
È sempre stato un vincente ed è uno che in contention è un cliente scomodo per chiunque.
Oltre a questo, c’è la parte umana: è un ragazzo d’oro e fa ancora più piacere vederlo di nuovo a questi livelli. Inoltre, ha ancora il fattore anagrafico dalla sua parte perché ha solo 31 anni.
Francesco Molinari su Scottie Scheffler
Scottie Scheffler ha invece fatto il salto di qualità definitivo quest’anno.
Guardo i risultati per importanza: Masters, Players, Arnold Palmer e Memorial Tournament, tornei che pochi campioni riescono a vincere nell’intera carriera.
Farlo nell’arco di tre mesi è pazzesco. Ha fatto un lavoro fantastico con Phil Kenyon che gli ha sistemato il putt, fattore che lo frenava.
Da lì ha fatto progressi giganteschi.
La sua mentalità ed equilibrio in campo, nel bene e nel male, sono esemplari.
Lui e il suo caddie sono molto credenti e pensare che sia Dio ad aver voluto che una cosa sia andata in un certo modo è un grande vantaggio perché ti toglie pressione.
È stata una stagione unica e, magari sbaglio, faccio fatica a pensare che possa ripeterla.
Può rimanere numero uno del mondo ed è uno dei talenti più scintillanti, ma paragonarlo a Tiger è blasfemo, con il massimo rispetto per lui che è straordinario.
Francesco Molinari su Rory McIlroy
Mi chiedono spesso di Rory McIlroy.
Penso che non sia in difficoltà anche se non può essere un caso che quest’anno gli sia successo di vedersi sfuggire tornei così tante volte.
Perdere l’Open d’Irlanda o Wentworth gli ha fatto meno male che lo U.S. Open.
Un Rory in fiducia avrebbe vinto il BMW PGA Championship, mentre con qualche pressione in più ha sbagliato.
Facendo un bilancio da suo tifoso quale sono, non riesco a spiegarmi come sia possibile che non vinca un major da dieci anni. Se nel 2014 mi avessero detto che non avrebbe più vinto avrei pensato a un infortunio.
La speranza è che tutte queste vittorie sfuggite di poco gli servano da motivazione per avere una seconda parte di carriera concreta.