Il golf è una disciplina in continua mutazione. La prima e più evidente evoluzione è quella legata alla preparazione atletica. Mentre prima chi andava in palestra era l’eccezione, oggi lo è chi non ci va. Si può migliorare fisicamente per prevenire infortuni, tirare più lungo o semplicemente stare bene. Tutti oggi fanno qualcosa dal punto di vista fisico.
L’attrezzatura è molto migliorata. Una volta era più importante colpire la pallina in centro mentre oggi ci sono bastoni che perdonano più facilmente. La conseguenza è che un tempo si giocava più di fino, perché tirare forte ma colpendo fuori centro era penalizzante. Oggi si tira a tutta velocità anche per assecondare le variazioni odierne dei campi che sono sempre più lunghi. Così si fanno distanze siderali e si tenta di giocare al green con ferri corti. Il rough non è cambiato molto mentre si tenta di tenere i green molto duri per premiare chi gioca dal fairway.
Il problema europeo è che non sempre si riesce. Se piove i campi diventano veramente facili e le gare si chiudono, di fatto, sui putt e gli approcci. Di conseguenza il livello si appiattisce.
Un grande cambiamento c’è stato nella formazione. Dal trackman in poi c’è stata una rivoluzione. Oggi è molto facile fare la diagnosi di cosa non va nello swing. Poi ci vuole l’abilità dei coach per migliorarsi. Anche le statistiche hanno fatto passi avanti. Sino a qualche decina di anni fa si andava a naso, oggi si può capire dove si perdono colpi, con quali bandiere, con che tipo di vento. Anche in questo caso raccogliere i dati è semplice mentre è più complesso capire e stabilire dove il giocatore può migliorare per recuperare terreno e dove è più difficile fare cambiamenti.
Con le statistiche ci si prepara ai tornei di settimana in settimana, è tutto più calcolato rispetto a una volta.
Un tempo il giocatore era da solo o al massimo con il caddie. Oggigiorno si lavora in team prendendo decisioni tutti insieme. Ogni professionista muove una vera e propria squadra. Alcuni hanno addirittura otto/dieci persone intorno a sé. Coach per il putt, il gioco lungo, quello corto e poi manager, fisioterapista, preparatore atletico, mental coach e caddie. E dato che questa figura è il tema del numero i novembre parliamo del suo ruolo.
Il caddie è la persona con la quale passiamo più tempo. Secondo me però influisce sino a un certo punto. Un tempo il caddie decideva la strategia, oggi i giocatori sanno tutto. Lui di fatto deve capire quando parlare e cosa dirti. Oggi è più psicologo che tecnico ma con le sue parole o azioni per alcuni giocatori può essere fondamentale. Potendo è meglio avvalersi di una persona che ha esperienza e conosce i campi perché può aiutare, specie sui green visto che non è più possibile utilizzare i green book co tutte le informazioni possibili e immaginabili e le percentuali di pendenza.
Per diventare caddie ci vuole tanto spirito di sacrificio ma è una professione che, per chi non riesce a sfondare come giocatore, può dare soddisfazione.
Attenzione: il caddie non viaggia in business né dorme nei cinque stelle. Molti portano le sacche sui tour minori, mangiano al McDonald e dormono in bettole. Poi, trovando i giocatori giusti e accumulando esperienza le cose possono migliorare. Il circuito europeo è pieno di ex giocatori aspiranti pro, ma anche per questo ci vuole la giusta mentalità e spirito di sacrificio.
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