Se dovete convincere qualcuno sul perché il golf sia uno sport magico, capace di regalare emozioni impensabili per ogni altra disciplina al mondo, vi basterà mostrargli il capolavoro di Phil Mickelson a Kiawah Island nell’ultimo PGA Championship.
Dietro al ritorno al successo in un major di un uomo che a 51 anni è riuscito a mettere in fila avversari di 20 e 30 anni più giovani di lui a colpi di classe, temperamento e strategia, c’è il segreto e il fascino di un gioco capace di stregare milioni di persone in ogni angolo del pianeta.
Il mancino americano ha trascorso la sua intera vita professionistica sin dagli anni ‘90 in scia del più grande giocatore di tutti i tempi, Tiger Woods.
Ha vinto, tanto, ha sofferto, parecchio, di fronte a brucianti e inaspettate debalce, ha esultato, pianto di dolore e a volte di gioia. Ma lo ha fatto sempre con il sorriso sul volto, consapevole di aver ogni volta dato tutto e spesso anche qualcosa in più.
Non è mai stato uno da se e ma, da stupide recriminazioni, da scuse campate per aria.
Nella sua cavalcata verso il suo sesto e forse più insperato titolo major non ha mai risparmiato un gesto di ringraziamento al pubblico, tornato finalmente in massa a seguire i suoi beniamini e palesemente schierato con lui.
Quel pollice sollevato ogni pochi passi, tra un colpo e l’altro di un’importanza vitale, sono lo specchio di un uomo solare e puro che il grande pubblico ha sempre amato, alla pari di Woods.
Phil e Tiger sono indiscutibilmente le punte di diamante del golf mondiale dei nostri tempi.
Woods era già leggenda: il suo 15° major al Masters del 2019, arrivato a 43 anni e a undici dall’ultimo vinto, e il successivo aggancio a Sam Snead come il più vincente della storia del PGA Tour con 82 trionfi lo hanno proiettato nell’Olimpo degli immortali.
A Phil mancava questo, quel colpo di coda di una carriera già straordinaria per inseguire ancora una volta l’amico/rivale di una vita.
Kiawah Island è sembrato in tutto e per tutto il dejavù del successo di Tiger nel Tour Championship all’East Lake di Atlanta nel 2018, con la folla impazzita ad invadere il campo per portare in trionfo l’altra grande leggenda dei nostri tempi.
Il PGA Championship è stato lo spot più bello che il golf potesse desiderare per la ripartenza post pandemia.
Nessuno avrebbe mai immaginato di rivedere Mickelson sollevare in questo 2021 un major che non fosse del PGA Tour Champions, ovvero il circuito senior, dove ormai ha iniziato a giocare (e vincere subito) dallo scorso anno.
Così come nessuno avrebbe scommesso un centesimo di vederlo tornare dal 17 al 20 giugno prossimo a Torrey Pines per disputare il suo 114° torneo dello Slam non semplicemente grazie a uno invito ma come campione in carica del PGA Championship.
Corsi e ricorsi storici si inseguono ora in un intreccio affascinante con il destino.
Il 16 giugno, il giorno prima del via del 121° U.S. Open, Phil Mickelson festeggerà il suo 51° compleanno proprio nella sua San Diego.
E lo farà in quell’unico torneo che insegue da una vita e che ha accarezzato un numero infinito di volte.
Sarà il suo 30esimo tentativo nel major americano più antico, l’unico a mancargli in bacheca per chiudere come l’amico Tiger il Grande Slam alla carriera.
Il teatro dei sogni non poteva che essere Torrey Pines, che torna quest’anno protagonista dello U.S. Open 13 anni dopo l’indimenticabile successo di Tiger Woods al playoff contro Rocco Mediate in una delle edizioni più emozionanti e drammatiche di sempre.
Mickelson ha scritto la storia a Kiawah Island ribellandosi di colpo al tempo che corre inesorabile e che lo aveva portato per la prima volta dopo 25 anni fuori dai Top 100 del World Ranking.
Ha dimostrato come anche a quasi 51 anni, grazie al lavoro, al sacrificio e alle motivazioni, il golf possa ancora regalargli gioie enormi ed emozioni inaspettate.
Da Kiawah Island Lefty arriva a Torrey Pines con una spinta emotiva straordinaria e con la consapevolezza di potersi giocare anche lì, sul South Course dove ha già vinto ben tre Buick Invitational (dal 2010 il torneo si chiama Farmers Insurance Open) in carriera (1993, 2000 e 2001) le chance di completare finalmente il Grande Slam alla carriera.
Con il Wanamaker Trophy nelle mani il fantasma di quei pesanti sei secondi posti sarà decisamente meno opprimente. Resta ora la battaglia sportiva da vincere, quella contro avversari tosti e affamati di successo, a partire da Brooks Koepka, vero animale da major, che sul South Course cercherà il suo terzo U.S. Open in cinque anni, a Bryson DeChambeau, campione lo scorso settembre a Winged Foot, da un Jordan Spieth ritrovato a Jon Rahm, ancora a caccia del primo acuto in uno Slam.
Nel 2008 a Torrey Pines Mickelson chiuse 18°, a sette colpi da Tiger e Mediate, deludendo nei due giri centrali.
Tredici anni dopo ci riprova, pronto a stupire ancora tutti nell’Open di casa, trascinato da un pubblico che avrà occhi e cuore solo per lui.
Comunque vada sarà un’edizione dalle fortissime emozioni, e se al via delle ultime 18 buche lo rivedremo masticare nervosamente sotto i suoi inscrutabili occhiali a specchio allora mettiamoci comodi.
Il bello deve ancora venire.