È passato un anno da quando l’attuale numero uno al mondo ottenne una delle vittorie più entusiasmanti della sua ricca carriera per qualità del field e per un giro conclusivo al cardiopalma, tra crolli clamorosi, come quello di Jon Rahm, e tentativi di recupero miracolosi, leggi Furyk.
Un torneo che ha messo finalmente la parola fine al difficile rapporto tra lo Stadium Course di Pete Dye e il riccioluto nordirlandese, che contava tre tagli mancati nelle prime tre apparizioni.
McIlroy non superò infatti le prime 36 buche del Players Championship nel 2009, 2010 e 2012, accumulando una dozzina di colpi sopra il par.
Il suo rapporto difficile con lo Stadium Course del TPC di Sawgrass non è un mistero, come lui stesso ha ammesso ai microfoni del PGA Tour: “Ho sempre avuto un primo impatto difficile con i campi disegnati da Pete Dye, mi fanno sentire quasi in soggezione.
Trovo difficoltà da un punto di vista visivo, il che complica non poco la vita poiché i tracciati di Dye richiedono molta strategia e un approccio unico”.
Tuttavia, dal 2012 in poi, Rory ha cominciato a ricomporre il puzzle di Dye, finendo tra i primi 15 in ognuna delle quattro partecipazioni successive e riuscendo, dopo la 35ª posizione del 2018, a ottenere la vittoria lo scorso anno.
Ma cosa sbagliava all’inizio? “Mi impuntavo nel cercare di dominare il campo con la forza. Ero testardo e poco maturo. Con il passare dei giri, e le conseguenti delusioni, ho compreso come la forza sui percorsi di Dye non serva. Occorre pensare e rispettare il tracciato”.
Dye in passato sicuramente avrà sorriso immaginando la frustrazione del giovane Rory. In fondo l’architetto una volta affermò come il golf non è uno sport giusto, quindi perché mai avrebbe dovuto costruire un campo giusto?
Venuto a mancare il 9 gennaio scorso all’età di 94 anni, Dye ha ricevuto elogi unanimi, come quello di Jay Monahan che, in rappresentanza del PGA Tour, ha affermato come il suo influsso sia stato di portata planetaria.
Sebbene Dye abbia disegnato alcuni dei percorsi più belli al mondo, è proprio nello Stadium Course del TPC di Sawgrass che ha espresso il proprio genio, combinando l’idea dello stadio a un percorso mai banale e che richiede una grande strategia.
“Effettivamente è così – ha continuato McIlroy – la strategia di gioco qui è fondamentale. Lo trovo un tracciato per molti versi ‘democratico’ perché non favorisce nessuno. È necessario essere sul pezzo sempre, giocare i colpi giusti dal giovedì mattina alla domenica sera. Ci ho messo un po’ a capirlo ma credo finalmente di aver compreso come affrontarlo”.
Ora resta da vedere se sarà in grado di ripetersi. Difenderà il titolo in un torneo che non ha mai avuto lo stesso vincitore per due anni consecutivi e che solo in sei lo hanno conquistato più di una volta. Un campione sempre diverso, così lo ha immaginato Dye. Ma esiste una spiegazione logica a questo?
“Da Fred Funk a Tiger Woods, da Matt Kuchar a Sergio Garcia. Se si guarda l’albo d’oro a Sawgrass hanno ottenuto il successo giocatori con stili di gioco molto differenti tra loro. Essendo un campo che non favorisce un particolare tipo di giocatore, permette a tutti quelli del field di poter ambire alla vittoria e così, con più protagonisti che possono puntare al titolo, diventa complicato riuscire a essere in testa al leaderboard domenica pomeriggio”.
Tiger Woods è stato l’unico a vincere questo torneo in più di due occasioni ed è uno degli unici tre che hanno vinto a Sawgrass da numero uno al mondo. Ci riuscì nel 2001 e 2013, mentre Greg Norman lo fece nel 1996 e Jason Day nel 2016. David Duval nel 1999 invece divenne numero uno dopo la vittoria.
Per McIlroy confermarsi campione significherebbe diventare il primo giocatore a realizzare uno storico ‘back to back’, un motivo di tensione in più?
“Beh, sono io l’uomo da battere e quando riesco a esprimere il mio gioco nel migliore dei modi, sento di non avere avversari.
Grazie all’esperienza accumulata e a quello che ho imparato a Sawgrass nel corso degli ultimi dieci anni, posso fare sì che i prossimi dieci siano ancora migliori dei primi”.
Il nordirlandese ha ottenuto quattro titoli nel 2019, iniziando proprio dal Players a marzo e conquistando meritatamente a fine stagione il premio di giocatore dell’anno del PGA Tour.
Poi, chiusa la stagione europea a Dubai a novembre, si è preso una pausa sino alla fine dell’anno, prendendo parte solo a un evento benefico organizzato da Jack Nicklaus.
“Ho fatto anche 18 buche con mio madre a Seminole, in Florida! Penso che fare un break sia stata una buona idea. Con i ritmi che sosteniamo il riposo invernale serve a ricaricare le batterie fisiche e mentali. A Capodanno, di ritorno negli Stai Uniti, ho tirato fuori i bastoni dall’armadio e ho ricominciato ad allenarmi”.
Secondo alcuni un riposo troppo prolungato influenzerebbe negativamente lo swing di molti professionisti.
Per lui però non è stato così, anzi. All’esordio stagionale è arrivato terzo nel Farmers Insurance Open a Torrey Pines a fine gennaio, e poi ha messo insieme due quinti posti, lottando sempre per il titolo. Il 2012 rimane il suo anno più prolifico con cinque titoli, riuscirà a ripetersi quest’anno?
“Penso che il gioco corto e il putt decreteranno il mio numero di vittorie del 2020. Sarebbe bello eguagliare il mio record e, perché no, superarlo.
Il successo dipende da molti fattori: sono consapevole degli aspetti del mio gioco sui quali devo lavorare e del fatto che vincere sarà semplicemente la conseguenza di tutto ciò che farò bene, sia in campo che fuori”.
Quest’anno McIlroy celebrerà anche i dieci anni dalla sua prima vittoria sul PGA Tour, che ottenne con un giro finale in 62 colpi al Wells Fargo Championship. Allora era un ventenne dall’aspetto sbarazzino, che il compianto Mario Camicia in telecronaca battezzò “l’angioletto nordirlandese”. Da allora McIlroy ha vinto di tutto e di più, sia sul PGA che sull’European, diventando una superstar mondiale. Ma quanto vale avere in bacheca il trofeo del Players Championship?
“Significa molto perché è un torneo che viene valutato alla pari di un major e penso che il successo a Sawgrass lo scorso anno abbia di fatto contribuito a farmi vincere il premio di miglior giocatore dell’anno sul PGA Tour. È un evento che chiunque vorrebbe vincere perchè si gioca su un grandissimo campo e si ha di fronte tutto il meglio del golf internazionale”.