Un urlo, tanto desiderato quanto liberatorio, le braccia al cielo e le lacrime trattenute a stento.
Il re è tornato, lunga vita al re. Domenica 14 aprile 2019 non sarà mai ricordato come un giorno qualunque ma come quello del più straordinario e incredibile capolavoro sportivo che la storia del golf ricordi.
Dopo undici anni, decine di infortuni e una carriera che sembrava ormai compromessa, Tiger Woods torna al successo in un major nel teatro più prestigioso, quello dell’Augusta National, indossando la sua quinta Giacca Verde.
Sono trascorsi 22 anni dal suo primo trionfo al Masters ma l’emozione, se è possibile, è ancora più forte.
Il Tiger del 1997 era un ragazzino dal talento purissimo che aveva appena sconvolto il mondo del golf professionistico, quello tornato a dominare Augusta lo scorso anno un uomo maturo di 44 anni, capace di smentire tutto e tutti con la forza e la determinazione che solo i fenomeni hanno nel loro DNA.
Sono trascorsi un anno e sette mesi da quell’istante indelebile che ha segnato l’ennesima rinascita di Tiger, consacrandolo nell’Olimpo dei più grandi sportivi di sempre.
Il Covid quest’anno ci ha rubato il mese di aprile, relegando Augusta e il suo Masters per la prima volta al mese di novembre.
L’84esima edizione resterà negli annali non solo per essere la prima giocata in autunno ma anche per l’assenza di un elemento imprescindibile della sua magia unica, il pubblico.
L’atmosfera che si vive non solo a bordo fairway, per chi ha avuto la fortuna di assistere almeno una volta al torneo, ma anche semplicemente attaccati allo schermo di casa, è da pelle d’oca vera: ogni buca, ogni colpo, è scandito da un boato di entusiasmo fuori dal comune, l’aria è elettrica, il silenzio è rispettato solo negli istanti prima di ogni tocco decisivo.
Non sarà il Masters di sempre, su questo non c’è ombra di dubbio: Fred Ridley, presidente dell’Augusta National, ha provato in tutti i modi a salvare ogni elemento del suo major ma nulla ha potuto di fronte alla devastante forza di questo subdolo virus, che ha stravolto la vita dell’intero pianeta.
Quando a marzo fu presa la dolorosa decisione di posticipare il torneo in autunno, tutti o quasi i soci del circolo georgiano erano convinti che novembre avrebbe restituito ai fan il Masters nella sua versione più bella e originale.
Così non è stato invece, e questa volta il silenzio non sarà solo quello religioso prima di assistere a una nuova magia dei protagonisti in campo, ma quello triste e irreale che ha contornato ogni evento post lockdown dalla ripresa dei Tour a oggi.
La pressione del pubblico è tradizionalmente un elemento dai risvolti esplosivi ad Augusta: c’è chi è capace di esaltarsi, tirando fuori il meglio e oltre delle proprie capacità tecniche, e chi invece ne viene tramortito, schiacciato dal peso di un torneo che, soprattutto nelle sue ultime decisive 9 buche, ha inanellato un elenco lunghissimo di illustri vittime, l’ultima in ordine di tempo il nostro Francesco Molinari.
In un anno che ha celebrato l’ingresso di Bryson DeChambeau tra i major winner e portato la questione della sua devastante potenza al centro di ogni discussione golfistica, gli occhi ad Augusta non potranno che essere puntati proprio sul ragazzone californiano, pronto a smentire i più scettici anche su un palcoscenico delicato come quello di Augusta.
Ha giocato il Masters solo tre volte, la prima da amateur nel 2016, ma ha già dimostrato di saper perfettamente interpretare le sue numerose insidie.
A Winged Foot ha portato a casa lo U.S. Open non solo tirando il driver a quasi 400 yard ma anche mostrando un gioco al green e un putt impeccabile.
La sua maniacale attenzione a ogni minimo dettaglio, come conferma il suo voluminoso course book ricco di appunti al limite del paranoico, rispecchia il carattere di un ragazzo che non lascia nulla al caso e che con la sua potenza sarà in grado di attaccare ogni bandiera, anche quelle di solito considerate inavvicinabili.
La storia ha dimostrato che per indossare la Giacca Verde bisogna avere anche profondo rispetto dell’Augusta National, saper attendere il momento giusto, attaccare là dove la situazione e il campo lo permettono.
Il quinto successo di Tiger dello scorso anno ne è la riprova: le ultime 9 buche della domenica sono state una guerra di nervi e di strategia.
Una scelta sbagliata o troppo istintiva può far sfumare in un istante i sogni di gloria, ecco perché l’esperienza qui gioca spesso un ruolo decisivo, soprattutto a livello mentale.
Woods giocherà il suo 23° Masters con un unico obiettivo, raggiungere il sesto successo ed eguagliare il primato di Jack Nicklaus ad Augusta, avvicinandosi a sole due lunghezze dal record dei record, i suoi 18 major.
L’Orso d’Oro vinse la sua ultima Giacca Verde a 46 anni nel 1986, diventando il più anziano giocatore nella storia del golf a imporsi in un torneo del Grande Slam.
Tiger ne compirà 45 il 30 dicembre prossimo, e nei 22 Masters disputati ha mancato il taglio solo una volta (nel 1996, la sua prima da professionista), chiudendo tra i Top 5 in ben 12 occasioni.
A settembre nello U.S. Open ha deluso, uscendo di scena già venerdì pomeriggio: ha voltato pagina in fretta e iniziato il lungo lavoro di avvicinamento al Masters.
Augusta attende il suo campione sognando la sua sesta incoronazione.