Sono passati poco meno di cinque mesi dal primo (e speriamo ultimo) Masters autunnale della storia del golf moderno. Rieccoci all’Augusta National Golf Club, il teatro dei sogni, nel mese che da sempre gli compete, aprile.
Sì perché diciamolo chiaramente: il Masters in primavera ha un fascino e una magia tutta diversa da quella vista nell’obbligata ultima versione novembrina. A partire dal campo, presentato nel suo massimo splendore possibile e impreziosito da centinaia di piante in fiore, naturali pennellate d’autore su un quadro d’insieme che può essere definito in un solo modo, una vera opera d’arte.
Il capolavoro di DJ solo cinque mesi fa. Sarà in grado di riconfermarsi?
Meno di 150 giorni fa un goffo ed emozionato Dustin Johnson indossava più che meritatamente la sua prima Green Jacket, aiutato come da rigorosa tradizione dal campione uscente, Tiger Woods.
Nemmeno il tempo di prendere confidenza con lo spezzato verde più ambito del golf mondiale e DJ è chiamato a l’ennesima conferma del suo attuale regno: emulare e onorare proprio il grande assente di questa 85esima edizione, Tiger, l’ultimo vent’anni fa a riuscire a confermarsi campione ad Augusta.
Sulle capacità del numero 1 sulle buche dell’Augusta non ci sono dubbi: dal 2015 al 2020 non è mai uscito dai primi dieci e nell’unica edizione che ha saltato, quella del 2017, era dato come il grande favorito, prima di scivolare dalle scale la vigilia del torneo e dare forfait all’ultimo secondo.
Dopo il trionfo ad Augusta lo scorso novembre, Johnson ha ripreso come aveva terminato, vincendo. Non lo ha ancora fatto sul PGA Tour, dove è sceso in campo solo in quattro occasioni dall’inizio dell’anno solare, ottenendo come miglior risultato l’8° posto al Genesis Invitational a fine febbraio, ma sull’European Tour, dove ha conquistato per la seconda volta in tre anni il Saudi International in Arabia Saudita, portando i suoi titoli complessivi in carriera a 26 dal 2008 a oggi, almeno uno in ogni stagione giocata.
Il Masters a primavera, tutta un’altra storia
Il Masters autunnale ci ha mostrato un Augusta National lontano parente di quello immacolato di primavera, naturale conseguenza dell’epoca dell’anno in cui si è giocato. Fairway pesanti, palle sporche (con il tassativo divieto di piazzare, considerato un vero sacrilegio per il circolo georgiano) e green più umani che mai rispetto a quelli di puro vetro con cui si deve fare i conti in primavera.
Con i suoi oltre 6.800 metri le chance di vedere non solo i bombardieri competere per le posizioni di testa si sono quindi ridotte e non poco, spalancando le porte del successo a DJ. Il suo 20 sotto il par, il punteggio più basso mai fatto registrare nella storia del torneo, così come i quattro giri sotto i 70 di Cameron Smith (pure lui uno dei giocatori più lunghi del Tour), il primo a riuscirci in 84 Masters, sono la prova di un’edizione che per molti aspetti ha rotto gli equilibri con il passato.
Bentornata primavera quindi: il vero Masters, quello che amiamo, passa anche attraverso episodi clamorosi che hanno contribuito a creare la leggenda dell’Augusta National e del suo magico torneo, come i sei, dico sei, putt di Ernie Els alla buca 1 da meno di un metro del primo giro dell’edizione 2016, tanto per citarne uno dei più incredibili.
Appuntamento con la storia
Per Dustin Johnson l’appuntamento con la storia è ancora una volta dietro l’angolo: riconfermarsi campione significherebbe eguagliare un’impresa che solo tre leggende sono state in grado di realizzare al Masters dal 1934 a oggi: Jack Nicklaus (1965 e 1966), Nick Faldo (1989 e 1990), e Tiger Woods (2001 e 2002).
Ma nel teatro dei sogni la fila per strappargli la Giacca Verde è lunghissima, a partire da Justin Thomas, quarto lo scorso anno ad Augusta e vincitore a marzo del Players, a Jon Rahm (salvo forfait dell’ultimo minuto per la nascita del primogenito), cresciuto nel mito di Ballesteros, da Collin Morikawa, il nuovo astro nascente del PGA Tour, a Bryson DeChambeau, l’uomo che sta cambiando il gioco del golf con la sua devastante potenza.
E come ogni Masters che si rispetti non mancheranno le piccole grandi sorprese, vere e proprie favole sportive che solo l’Augusta National è in grado di alimentare.
Per Westwood sarà l’85° major in carriera
Una di queste sembra già scritta, opera del miglior sceneggiatore del mondo: è quella di Lee Westwood, che a quasi 48 anni sta vivendo una vera e propria seconda giovinezza agonistica a suon di grandi risultati sul PGA Tour.
L’inglese, risalito vorticosamente nel World Ranking, giocherà in questa 85esima edizione del Masters il suo 85° major in carriera, il 20° ad Augusta.
È il giocatore in attività che vanta la più lunga striscia di partecipazioni a tornei del Grande Slam senza mai una gioia, a soli due dal record negativo assoluto di Jay Haas.
‘Westy’ ne sarà certamente all’oscuro ma, nella smorfia napoletana, l’85 significa le anime del purgatorio, e il 20 la festa…
Beh, se fossimo in lui, come minimo andremmo di corsa a giocare questi due numeri prima del tee shot della 1.