Si tratta della sfida più affascinante, più dura, unica nel suo genere e per questo ancora più ambita.
Vincerla ha un sapore assolutamente diverso. Perché per arrivare ad alzare il suo trofeo, la Claret Jug, una delle più grandi icone sportive, bisogna prima aver compreso la vera essenza del golf. Poi domato il peso della tradizione e infine sconfitto la forza degli elementi naturali e le incredibili asperità dei celebri e temibili links britannici.
Determinazione, creatività, talento, rispetto, intuito. Sono questi gli elementi indispensabili per primeggiare qui. Benvenuti all’Open Championship, il torneo che i cultori chiamano semplicemente “The Open” e questo la dice lunga sulla sua capacità di ammaliare spettatori e grandi campioni. Il fascino dell’Open Championship, il torneo più antico del mondo, non è legato a un vincitore o a un particolare golf club, ma è scritto nel suo DNA: è storia, mito e leggenda, fascino e tradizione, eleganza e rispetto.
Non ce ne vogliano gli amici americani ma il torneo e il major per eccellenza è solo questo perché rappresenta a tutti gli effetti la pura essenza del gioco del golf e il suo concetto primordiale. Questo non è un torneo come gli altri e mai lo sarà, per chi lo gioca, per chi semplicemente lo segue da spettatore, sgomitando tra decine di migliaia di persone, e nemmeno per gli addetti ai lavori, che hanno il compito di raccontarlo.
Qui non si respira l’aria impeccabile del Masters ma quella inimitabile della tradizione e della storia, un tuffo nel passato che ogni anno, a luglio, si ripropone con britannica puntualità, come se il tempo si fermasse per celebrare degnamente questo splendido sport. Quest’anno, dal 14 al 17 luglio, si torna alle origini del mito con l’edizione numero 150 e non si poteva avere come teatro di gara migliore quello dell’Old Course di St Andrews. Chi vince l’Open su questo percorso è campione completo, a tutto tondo, perché come dice il grande Jack Nicklaus: “Vincere sui links vuol dire saper dominare qualsiasi percorso, saper giocare in tutte le situazioni ma, soprattutto, vuol dire essere campione lì dove il golf è nato”.
E ci sarà un motivo per cui l’Orso d’Oro, il giocatore con più major all’attivo, ha scelto nel 2005 l’Open Championship a St Andrews per dare l’addio alle competizioni e poter salutare per l’ultima volta i suoi sostenitori.
Da una leggenda a un’altra che porta il nome di Tiger Woods. Il Fenomeno californiano non scende in campo dal terzo giro del PGA Championship del 21 maggio scorso quando si ritirò per i troppi dolori alla gamba.
Nella sua dichiarazione l’ardente desiderio di essere pronto per questo momento, disputare il suo 22° Open Championship proprio a St Andrews dove vinse due delle sue tre Claret Jug (2000-2005 e 2006 al Royal Liverpool).
E non è un caso che ogni volta che si reca a St Andrews soggiorni nella stanza numero 269 dell’Old Course Hotel. Il motivo? È il numero di colpi con cui vinse l’Open Championship a St Andrews nel 2000.
Non solo Tiger. Ogni edizione dell’Open Championship vanta con orgoglio una lista senza fine di momenti magici, quelli che hanno contribuito a trasformare un semplice torneo sportivo in una vera e propria leggenda. E ne sa qualcosa Collin Morikawa, defending champion del torneo. Quel 18 luglio 2021 è stata, di fatto, la data che gli ha cambiato la vita e gli ha fatto mettere un piede nel grande libro del golf diventando il primo e unico giocatore a vincere al debutto assoluto prima il PGA Championship e poi l’Open Championship.
Così come la storica vittoria di Francesco Molinari, che nel 2018 ha regalato all’Italia l’emozione di un major portandosi a casa la brocca d’argento più desiderata al mondo e che lo riconferma oggi in pole position anche a St Andrews per la vittoria finale. Chicco ha ormai superato abbondantemente quota 40 major in carriera, non briciole, e vanta lo storico successo a Carnoustie del 2018, oltre che cinque top 10. Un secondo, sesto e decimo posto al PGA Championship del 2017 e 2018 e 2009, un quinto e un nono al Masters del 2019 e 2013.
Quest’anno saranno ben tre gli azzurri in campo. Oltre a Molinari anche Guido Migliozzi, reduce da una buona prestazione allo U.S. Open del mese scorso con un 14° posto grazie a un ultimo giro in 66, e il dilettante Filippo Celli, per la prima volta a St Andrews, grazie alla storica vittoria all’European Amateur Championship, uno dei più importanti eventi in campo internazionale.
Quello che è certo è che lo spettacolo non mancherà dal primo all’ultimo colpo; mai come quest’anno la lotta per sollevare la mitica Claret Jug è aperta a qualsiasi risultato e gli occhi di tutti saranno puntati sui “disertori” del PGA Tour, che hanno deciso di arruolarsi nel LIV Golf, la neonata Lega Saudita, perdendo così lo status di membri del massimo circuito americano. Nomi del calibro di Dustin Johnson, Brooks Koepka, Bryson DeChambeau, Phil Mickelson, Sergio Garcia e Lee Westwood su tutti. Negli ultimi due major, PGA Championship e U.S. Open, abbiamo assistito a una girandola di emozioni ribaltando, buca dopo buca, situazioni che sembravano prendere una direzione definitiva e che non hanno fatto altro che accrescere il valore e l’importanza del PGA Tour e dei suoi fuoriclasse.
Tutto è pronto quindi per ospitare l’edizione 150 di quello che gli inglesi chiamano semplicemente The Open, con quel pizzico di superiorità tipica dei nostri cugini anglosassoni.
Ma, diciamolo francamente, quando si parla di storia dello sport se lo possono senz’altro permettere.
E allora come direbbero i britannici: “Dio salvi la Regina…e l’Open Championship”.