Domenica 12 agosto 2012.
Non una data qualunque ma il giorno in cui un riccioluto e ancora esile Rory McIlroy scrive un pezzo della storia moderna del golf. Il teatro è quello delle grandi occasioni: l’Ocean Course di Kiawah Island, in South Carolina, capolavoro golfistico del grande Pete Dye, quasi 7.200 metri di golf allo stato estremo a due passi dall’Oceano Atlantico.
Il giovane Rory è sulla rampa di lancio
Nel 2011 ha conquistato al Congressional il suo primo major con otto colpi di vantaggio su Jason Day, stabilendo il record del punteggio più basso nella storia dello U.S. Open, -16.
Arriva a Kiawah Island dopo però tre tagli mancati di fila, che lo costringono a cedere di nuovo lo scettro di numero 1 del mondo a Luke Donald, posizione per la prima volta conquistata dal nordirlandese a marzo dello stesso anno.
La sua sarà una cavalcata verso la gloria, un successo netto nei numeri e nella portata, da vero purosangue. Nemmeno la forza della natura, con venti oltre i 40 chilometri all’ora, fulmini, acqua e sospensioni tra venerdì e sabato gli rovinano una festa già scritta. Torna in campo domenica all’alba, chiude il terzo giro in 67 e riparte più carico che mai per le ultime 18 buche con tre colpi di vantaggio. Un giro in 66 senza bogey e con soli 24 putt gli regala il suo primo Wanamaker Trophy e il ritorno sul trono del World Ranking.
Lascia David Lynn a otto colpi e fissa il nuovo record di margine sul secondo classificato nella storia del PGA Championship, strappandolo dalle mani di Jack Nicklaus, che lo deteneva dal lontano 1980. A soli 23 anni è il più giovane giocatore ad aver conquistato due major dai tempi di Severiano Ballesteros.
Nove anni, sportivamente parlando, sono un’eternità
Il McIlroy che torna oggi a Kiawah Island non è più quel ragazzino in piena esplosione agonistica del 2012 ma un campione ormai affermato che in bacheca vanta 27 trofei di cui 4 major e, a 31 anni, ha ancora tanta voglia di sorprendere. Da quindici anni calca i fairway di PGA ed European Tour e, a dispetto dei tanti volti nuovi apparsi negli ultimi anni e seppur sia scivolato oggi al numero 13 del World Ranking, continua ad essere lui il giocatore con più talento in assoluto in circolazione.
Se McIlroy farà il McIlroy lo spettacolo è assicurato. Se Rory gioca da Rory non c’è nessuno capace di stargli dietro
Questo lo sa bene lui ma soprattutto i suoi avversari. Per ora il McIlroy visto in questo 2021 è un campione in crisi d’identità, alla ricerca della parte più pura e spensierata del suo gioco. Quello all’Ocean Course sarà il suo 49° major in carriera: ne ha vinti 4 è vero, arrivando a un soffio da conquistarne almeno altrettanti, ma quel successo in un torneo dello Slam manca ormai da troppo tempo anche per un cavallo di razza come lui.
A Valhalla, nell’agosto del 2014, McIlroy solleva per la seconda volta in carriera il Wanamaker Trophy, battendo di un solo colpo Phil Mickleson. Un mese prima a Hoylake si era portato a casa pure l’Open Championship e la sua prima e per ora unica Claret Jug. Da un campo che ha ospitato la Ryder Cup nel 2008 a un altro magnifico teatro della sfida Europa-Stati Uniti nel 1991, Kiawah Island, il destino bussa di nuovo alla porta del nordirlandese.
Quella dell’Ocean Course, dal 20 al 23 maggio prossimo, sarà una battaglia vera, uno spettacolo da non perdere e un’edizione che si presenta al via come una delle più imprevedibili degli ultimi anni.
Dustin Johnson, che in South Carolina ci è nato, proverà a cancellare il ricordo di quell’anonimo 48° posto ottenuto nove anni fa e mettersi in tasca 3/4 di Grande Slam, in attesa di fare poker nell’Open Championship al Royal St Georges in luglio.
DJ come Rory sono due tra le più grandi delusioni dell’85° Masters: l’attuale numero 1 del mondo è ancora lontano dalla straripante forma che lo ha accompagnato nella seconda parte della scorsa stagione, regalandogli FedEx Cup e Giacca Verde. Il nordirlandese ha invece girato da poco pagina, affidandosi alle cure tecniche di Denis Pugh da fine marzo per sbloccare swing e mente e tornare a fare notizia non più solo per i suoi tagli mancati.
Difenderà il titolo uno dei ragazzini terribili di questa nuova generazione di fenomeni, Collin Morikawa
Nel 2020 ad Harding Park il 23enne di Los Angeles si impose di due colpi su Paul Casey e Dustin Johnson grazie a uno strepitoso ultimo giro in 64, il più basso mai fatto registrare da un vincitore del PGA Championship nelle 18 buche conclusive. Solo un anno prima aveva debuttato sul PGA Tour e alla seconda partecipazione in un major ha centrato il successo in uno Slam. Oggi, un anno dopo, Morikawa non è più solo un ragazzino di belle speranze ma un punto fermo a livello mondiale: numero 4 del World Ranking, si è portato a casa anche il suo primo WGC a febbraio, il Workday Championship.
È la Golf Generation 3.0, ovvero quei ventenni terribili che hanno bruciato le tappe entrando rapidamente nel gotha mondiale grazie a talento e determinazione. Da Viktor Hovland a Will Zalatoris, da Matthew Wolff a Scottie Scheffler, da Sungjea Im a Cameron Smith. La lista è sempre più lunga e raccoglie giocatori tutti in grado di competere per il titolo anche in una prova del Grande Slam senza timori, come ha dimostrato lo stesso Zalatoris nel recente Masters.
Domare l’Ocean Course sarà però una prova durissima per tutti: del resto stiamo parlando del campo degli Stati Uniti con il course rating più alto in assoluto, ben 79.1.
Alzare il Wanamaker Trophy da queste parti non potrà che avere un sapore speciale, un piacere che McIlroy vorrebbe tornare a riassaporare il più presto possibile, magari proprio ripartendo da quella coppa che ha segnato due dei momenti più brillanti della sua carriera.