Oramai sono passati molti anni dalla mia prima volta ad Augusta. Era l’anno 2006 ed ero ancora dilettante.
Ci andai per aver vinto lo U.S. Amateur e fu un’esperienza pazzesca.
Sapevo che sarebbe stato difficile superare il taglio, quindi decisi di godermi qualsiasi momento. Giocai due giri con Tiger Woods, campione in carica, e dormii nella Crow’s Nest, la piccola foresteria di Augusta.
Cinque posti letto che mi hanno permesso, al mattino, di godermi il campo nella sua calma più assoluta.
L’ho vissuta un po’ come una vacanza, con la famiglia, la mia fidanzata e Chicco a farmi da caddie.
Dopo quell’occasione ci ho giocato altre tre volte, tra le quali quella del 2010 insieme a mio fratello e a Matteo Manassero, e nel 2011, quando conclusi all’11° posto.
Di fatto mi sono sempre divertito molto. Il campo è bello. Le prime volte ti lascia a bocca aperta, ma poi l’effetto ‘wow’ svanisce e non è così pazzesco come si dice. Certo che il disegno e il contesto sono davvero unici.
Dalla mia prima volta i cambiamenti sono stati tanti, sia per l’attrezzatura che per il percorso. Dal 2010 le distanze sono diventate simili a quelle di oggi. I lunghi ci sono sempre stati.
Certo, un tempo c’erano Dustin Johnson, Alvaro Quiros e Bubba Watson. Se loro tre avessero giocato male gli altri si sarebbero potuti inserire per la vittoria.
Oggi invece la tirano lunga in molti e il livello sicuramente è più alto.
Il campo è stato modificato aggiungendo dei metri. Penso che allungare i percorsi non sia la strada corretta così come neppure intervenire su palline o bastoni. I più lunghi, sia in un caso che nell’altro, continueranno ad avere un vantaggio.
Penso che la soluzione sia da ricercare nella durezza dei green e la possibilità di stringere i fairway. Oppure aumentare gli ostacoli rendendoli più penalizzanti.
Ad Augusta lo snodo cruciale è sicuramente l’Amen Corner. A dire il vero la chiave di volta è la 13 nella quale, con dei colpi simili, si può passare dall’eagle al bogey.
La difficoltà nella 12 è il limitato margine di errore. È poco profonda con la bandiera che può ingannare ma soprattutto il vento che, a causa del muro di pini dietro il green, forma dei mulinelli. Va giocata in difesa, un po’ come fa Tiger: una spallata a fine green e si fa quasi sempre par.
La chiave per conquistare il Masters è, in primis, giocare bene i tee shot. Vince chi tira lungo riuscendo a stare in pista.
Due par 5 sono raggiungibili da tutti con il secondo così come, per i picchiatori, lo sono anche la 2 e la 8. Alla 3 un buon primo colpo permette di arrivare sotto al green.
Un aspetto invece spesso sottovalutato sono i ferri medi, 6, 7 e 8, al green. Se giocati bene lasciano dei putt tirati dalla parte giusta. Il putt infatti non è più impossibile come una volta, a patto di giocarlo non in discesa e con una pendenza di traverso.
Il segreto però è il colpo al green, infatti giocatori come Jordan Spieth e Tiger Woods, che sono eccellenti in questo aspetto del gioco, sono spesso protagonisti.
Sono curioso di veder giocare il torneo in questa stagione dell’anno. Le condizioni atmosferiche della settimana precedente il torneo determineranno il fondo.
Con clima piovoso il campo sarà più lungo, con vantaggi per chi tira forte.
Se invece l’autunno sarà caldo, il terreno risulterà duro e veloce, con maggior spettacolarità e divertimento.