È quella che divide una leggenda sportiva dalla decisione più difficile della sua carriera, abbandonare la scena. Per l’icona del golf, Tiger Woods, questo momento sembra ancora un pensiero lontano.

La prima volta che ebbi la fortuna di vedere Tiger Woods fu nel giugno del 2004. Shinnecock Hills, 104° U.S. Open, ancora oggi ricordato per un campo preparato dalla USGA al limite della follia.

Allora 28enne, Tiger aveva già infranto decine di record e contava otto major.

Pochi anni prima, l’8 aprile 2001, vincendo il Masters diventò il primo giocatore dell’era moderna a detenere contemporaneamente tutti e quattro gli Slam.

Il “Tiger Slam”

Nel 2000 infatti aveva realizzato un superlativo tris, U.S. Open, The Open e PGA.

Per capire la portata di quel risultato basta ricordare che l’unico a riuscirci nello stesso anno solare appartiene a un’epoca in bianco e nero, Bobby Jones, nel 1930.

L’impresa fu subito ribattezzata il “Tiger Slam”.

Nessuno degli altri quattro campioni che avevano già vinto almeno una volta tutti e quattro i major in carriera, Jack Nicklaus, Ben Hogan, Gary Player e Gene Sarazen, era arrivato a fare tanto. 

La prima volta che vidi Tiger

A Shinnecock lo seguii per diverse buche, cercando di infilarmi tra ali di folla impazzite, schivando ogni essere umano e oggetto per arrivare a vederlo il più vicino possibile.

Peccato che fosse la stessa identica strategia adottata da altre migliaia di persone, e nella migliore delle ipotesi mi trovassi soltanto in quarta/quinta fila.

Tiger è sempre stato Tiger, fin dagli albori della sua irripetibile carriera. Ha catturato e affascinato chiunque, non solo per il suo sopraffino e innato talento ma per il suo indiscusso fascino e l’enorme carisma.

Una pantera rapida e feroce, che ancora prima di scendere in campo e afferrare per il collo i propri avversari, li aveva già tramortiti con la sola presenza.

Lo sport è pieno di campioni diventati leggende, dal calcio al basket, dal tennis alla Formula 1, ma la fama planetaria di Woods è paragonabile solo a quella delle grandi rock star, trasversale e universale, quasi fosse sempre stato contornato da un’aura luminosa e allo stesso tempo misteriosa.

icona del golf moderno

Da quel giorno di giugno di vent’anni fa il libro della sua vita si è trasformato, anno dopo anno, in un meraviglioso romanzo senza fine, uno di quei libri che, seppur abbia mille pagine, si divora in pochi giorni, non per scoprirne il finale ma semplicemente per assaporare appieno ogni singolo passaggio.

Se oggi il golf è uno degli sport più praticati al mondo gran parte del merito va a lui.

E il ringraziamento non deve arrivare solo dai professionisti, diventati milionari grazie al suo avvento e al suo potere mediatico, ma da chiunque ami e abbia a che fare con questo gioco.

Come ogni romanzo che si rispetti, anche quello di Tiger ha avuto pagine buie, da cui però ha avuto sempre la forza di rialzarsi.

Come quella del 23 febbraio 2021, quando rischiò la vita in un gravissimo incidente stradale.

Il suo destino, per ore appeso a un filo, è stato salvato dai migliori chirurghi del mondo, che gli ricostruirono la gamba destra anziché amputarla.

Il resto è pura leggenda, quella di un uomo che, seppur dalla vita avesse già ottenuto tutto, si è rimesso in gioco per tornare là dove ama stare, sul tee della buca 1 dei grandi palcoscenici mondiali.

Il mio lavoro mi ha concesso più di una volta il privilegio di incrociarlo nuovamente, e ieri come oggi, la sensazione è sempre la stessa.

L’ultimo Tiger al Royal Troon

In occasione dell’Open Championship a Troon, l’ho osservato qualche minuto praticare e ancora adesso, con un fisico indubbiamente segnato da mille avventure, il suo tocco di palla è musica per le orecchie, inarrivabile per chiunque altro.

Reale o costruita che fosse, la frecciatina di Montgomerie sul fatto che dovrebbe seriamente pensare al ritiro, ha avuto dallo stesso Tiger una secca e decisa risposta: “In qualità di ex vincitore ho un exemption sino ai 60 anni, non mi sembra che lui ne abbia una. Quando arriverò a 61 ci penserò”.

Come direbbe qualcuno che ha fatto della musica la sua vita per oltre quarant’anni, grazie di esistere.