Il primissimo ricordo con mio padre Ugo è sul putting green di Villa d’Este, avevo all’incirca tre o quattro anni, quindi più o meno il 1965, ed ero poco più alto della bandierina.
All’epoca lui insegnava nel circolo comasco, prima di spostarsi all’Olgiata dove ho effettivamente iniziato a tirare i primi colpi.
È qui che sono nati il mio amore e la mia passione per questo sport. Erano gli inizi degli anni ’70, avevo sette/otto anni e da subito ho iniziato a respirare e a nutrirmi di golf.
All’epoca non esisteva ancora l’European Tour ma venivano organizzati tornei ai quali partecipavano i più forti giocatori d’Europa.
E mio padre, ovviamente, avendo giocato con loro, li conosceva tutti. Ricordo che me li presentava e li portavo a fare il giro della clubhouse, gli mostravo dove fosse il putting green e mi imbucavo in campo pratica per assistere ai loro allenamenti.
Avere Ugo Grappasonni come padre è stata la mia grande fortuna perché con me ha sempre avuto un approccio molto moderno e all’avanguardia
Mi ha impostato tecnicamente ma poi mi ha sempre lasciato libero di provare altri sport senza alcuna restrizione. All’età di 9 anni ero già un buon 22 di handicap nonostante il mio fisico fosse minuto ed esile e, partendo dai tee degli uomini, non c’era chance di arrivare in fairway con il primo colpo.
In gara però non avevo mai papà dietro che mi seguiva, non l’ha mai fatto.
È sempre stato un passo indietro rispettando i miei spazi, la mia libertà e, ancora più importante, lasciandomi la possibilità di sbagliare. Quante volte si vedono genitori che opprimono il figlio con la loro presenza specie se vedono nel ragazzo del talento?
Bene, con Ugo Grappasonni questo non è mai avvenuto.
Mi diceva di non percorrere mai la strada più facile, perché non mi avrebbe portato al successo. Sono stati tantissimi gli aerei presi per disputare tornei sul Challenge Tour in posti sperduti invece che giocare le Pro-Am con un ricco montepremi a due passi da casa.
Questi sacrifici però mi hanno permesso di prendere la carta per l’European Tour e giocare sul massimo circuito europeo per dieci anni.
Mio padre è stato davvero un grande maestro di vita
Aveva una mentalità aperta, mi spronava a provare altri allenatori e richiedere pareri diversi. Nell’agosto dell’84, infatti, ero appena passato professionista e volai a Orlando per andare a lezione da David Leadbetter, che all’epoca seguiva campioni del calibro di Nick Price e Nick Faldo. Dopo Leadbetter mi allenai anche con un allora sconosciuto Denis Pugh che poi presentai a Francesco Molinari.
Lo “svantaggio” di portare questo cognome iniziò nel momento in cui giocai i tornei a livello internazionale.
La frase “Ma tu sei il figlio di Ugo?” è stata la costante di ogni trasferta
Insomma, un incubo. Ovunque andassi il paragone era inevitabile, soprattutto in paesi come l’Inghilterra, la Francia e la Svizzera, dove papà era molto conosciuto.
Un aneddoto molto divertente risale a un torneo che disputai in Australia, ad Adelaide dove mio padre aveva fatto il record del campo.
Una volta arrivato al circolo, quando capirono che ero il figlio di Ugo, chiamarono addirittura la stampa locale e uscì un articolo dal titolo “Like father, like son”, in cui si raccontava del figlio che dopo anni tornava in Australia per inseguire le orme paterne. Bene, il giorno dopo giocai, feci 82, arrivai ultimo e uscì un secondo articolo “Not like father…”.
Che dire, ritagliai entrambi i pezzi e glieli portai a Roma scherzando sulla brutta figura che gli feci fare dall’altra parte del mondo…
Al di là dei numerosi racconti, la più importante eredità che mio padre Ugo mi ha lasciato è stata la consapevolezza di quanto fosse difficile fare il giocatore di golf.
Il passaggio dal mondo amateur a quello professionistico è un salto nel vuoto, nessuno ti aiuta, sei solo e devi imparare a sopravvivere con le tue forze. Io questo l’ho sempre saputo e sono sempre riuscito a cogliere ciò che di buono questo sport ti sa regalare.
Sì, perché dietro tutto questo, risiede la bellezza di questo lavoro, le soddisfazioni, l’arricchimento personale e il bagaglio di esperienze che mi sono portato dietro per tutta la vita.