C’era una volta Tiger. Non solo uno dei giocatori più forti di tutti i tempi, ma anche un vero trascinatore tale da diventare il volto e l’icona del golf mondiale.
“Dici golf e pensi a Tiger. E viceversa”. La comunione tra le due parole era ed è automatica. A quanti appassionati golfisti è capitato che i propri amici, profani di palline con le fossette, dicessero: “Ah, giochi a golf. Lo sport di Tiger Woods!”.
E così, quando il golf ne rimase orfano, dopo le note vicende che ne minarono immagine, fisico e carisma, ci si chiese se mai ci sarebbe stato qualcuno capace di catalizzare le attenzioni dentro e fuori dal campo come il Fenomeno.
Gli ingredienti per diventare un leader, non solo un campione, sono molteplici. Servono idee chiare, carisma, capacità d’influenzare l’opinione pubblica oltre, ovviamente, ai risultati.
Che Rory McIlroy avesse carattere lo si era capito sin dal suo avvento al professionismo. Prima dell’inizio della sua stagione d’esordio, Re Tiger lo aveva invitato a giocare il Target World Challenge.
Rory declinò l’invito, nonostante si fosse detto onorato considerando che era solo all’inizio della sua carriera. Aveva ribadito che quel torneo era in simultanea con una gara dell’European Tour alla quale avrebbe voluto partecipare.
In poco più di dieci anni il riccioluto angioletto, così amava definirlo il grande e compianto Mario Camicia, è entrato a far parte dell’Olimpo del golf.
Questo primo capitolo di carriera ha confermato le grandi doti che aveva messo in mostra da amateur.
Non fu un caso se il 19 settembre 2007, giorno del suo passaggio al professionismo, subito prima del British Masters firmò un contratto con l’International Sports Management, agenzia che seguiva grandi campioni dello sport.
Il giovane Rory si presentava come un adolescente dal viso pulito e pronto alla battuta. Certo, la voce sul suo talento si era sparsa ma i fan e colleghi aspettavano di vederlo giocare sotto pressione.
Lo ha ricordato bene Phil Mickelson che non aveva fatto grandi pronostici sulla carriera di Rory quando, nel 2010 al Quail Hollow Championship, venne battuto dal giovane astro nascente: “Penso che questa prima vittoria sul PGA Tour, arrivata a meno di 21 anni, dia il via alla carriera di McIlroy” aveva dichiarato Lefty al termine dell’ultimo giro del torneo nel quale il nordirlandese lo aveva superato grazie a uno stratosferico 62 finale. “È un giocatore impressionante. Tutti conoscevamo le sue potenzialità ma vedergli giocare certi colpi lascia stupefatti”.
Il successo non gli fece montare la testa né sedò la fame di vittorie che da sempre lo accompagna. Carattere dicevamo in apertura.
Ebbene, vi ricordate il Masters 2011? Il ragazzino ad Augusta guida la classifica per tre giri partendo per le ultime 18 buche con quattro colpi di vantaggio.
Vittoria scritta sino alle buche di ritorno quando, prima un triplo e poi un doppio, permettono a Charl Schwartzel di indossare la Giacca Verde.
Trauma non superabile? Carriera finita ancora prima di iniziare?
Neanche per sogno. Due mesi dopo surclassa tutti gli avversari nello U.S. Open al Congressional, ottenendo una vittoria storica con otto colpi di vantaggio su Jason Day, secondo.
Non andiamo a ripercorrere una carriera costellata di ben 11 vittorie sul PGA Tour, 7 sull’European, tre WGC e quattro major che confermano un talento cristallino e una potenza esplosiva.
Ma cosa ha trasformato Rory da grande giocatore a trascinatore delle folle?
La risposta è nel suo carattere che lo ha sempre portato a dire ciò che pensava e prendere posizioni nette. Certo, a volte si è pentito.
I più attenti ricorderanno quando nel 2009 denigrò la Ryder Cup definendola una bella esibizione.
“Non è obiettivo per me. Nel mio grande progetto non lo ritengo un evento così determinante – aveva detto – Il golf è uno sport individuale e voglio vincere per me stesso”.
Ci aveva pensato l’allora capitano Colin Montgomerie a riportare il lume della ragione nella testa di Rory che, non solo si era scusato, ma è poi diventato negli anni uno dei giocatori che maggiormente tiene alla biennale sfida, una bandiera.
Non solo, ma proprio alla Ryder del 2012 conobbe Erica Stoll che, tre anni dopo, divenne la sua fidanzata e, nel 2017, sua moglie.
Probabilmente il 2014 è stato l’anno della definitiva maturazione. Sino ad allora aveva subito qualche critica per la mancata presenza a tornei importanti e spesso litigava con i giornalisti.
In quell’anno agli occhi di molti si era comportato in maniera orrenda, lasciando la bella tennista Caroline Wozniacki mentre stavano distribuendo le partecipazioni del loro matrimonio.
Eppure, da quel momento, tutto è cambiato.
Le uscite di Rory, anche se su argomenti delicati e scomodi, sono sempre state soppesate. Le sue opinioni hanno sovente sposato l’opinione pubblica e così la sua voce, sino a quel momento ancora “bianca”, è diventata sempre più quella di un leader.
Gli esempi sono abbondanti. Rory ha sollevato il problema mai risolto del Regno Unito quando, a inizio 2017, ha dichiarato che difficilmente avrebbe preso parte alle Olimpiadi un giorno con il team UK in quanto irlandese, del nord ma sempre irlandese.
Non da meno in più di un’occasione si è espresso a favore della parità tra i sessi, argomento spinoso in alcuni circoli anglosassoni come ad esempio lo scozzese Muirfield, che da poco ha aperto anche alle signore.
Da sempre giocatore di punta dell’European Tour, non ha mai nascosto il proprio amore per il PGA Tour e gli Stati Uniti al punto di rifiutare immediatamente la proposta di creare un tour parallelo.
McIlroy ha sempre messo i propri valori davanti al denaro.
Non ha esitato nel lasciare il precedente manager, con tanto di causa, o rifiutare ingaggi stellari.
Esempio emblematico il diniego nel giocare in Arabia Saudita. Anche in questo caso nessun giro di parole: “Lì non gioco, è una questione di moralità”.
Eravamo a inizio 2020 e a suon di petrodollari gli arabi stavano facendo incetta di campioni per il Saudi International. Da Koepka a Mickelson e Johnson fioccavano le conferme ma il rifiuto dell’allora numero 2 al mondo fece più rumore.
“Ci sono molti paesi in cui giochiamo e dove ci sarebbe più di una ragione per non essere presenti, ma in questa occasione ho deciso di tirarmi fuori – poi saggiamente ha aggiunto riferendosi al Waste Management Phoenix Open – penso che l’atmosfera di migliore nei tornei sulla costa occidentale degli Stati Uniti, preferisco decisamente giocare di fronte a grandi fan del golf in un torneo che mi entusiasma”.
I motivi sono legati alla sistematica violazione dei diritti umani contro i dissidenti e gli attivisti politici, i lavoratori migranti stranieri e le donne che gli arabi stanno tentando di sedare a suon di eventi sportivi.
Nell’ultimo periodo, quello della forzata assenza dalle gare, Rory ha fatto parlare di sé per le proprie prestazioni sportive.
Nella sua villa di Palm Beach Gardens in Florida, si è tenuto impegnato partecipando alle competizioni sulla piattaforma Peloton.
Si tratta di una App dedicata al mondo delle biciclette che mette di fronte migliaia di corridori e tra i quali c’erano anche Bubba Watson, Justin Thomas e il numero 1 del PGA Tour, Jay Monahan.
È stato proprio quest’ultimo a smascherare McIlroy che, con uno pseudonimo non solo prendeva parte alle gare ma era sempre davanti a tutti.
E per tutti intendiamo circa 12.000 partecipanti… Ma Rory non è nuovo alle prestazioni sportive che facciano parlare. Chi non lo ricorda nel periodo del “rafforzamento” sollevare bilancieri enormi?
Ma non solo bicicletta o putting green nel periodo del Covid-19.
A fine maggio una sua dichiarazione ha catalizzato l’attenzione dei media internazionali.
In un’intervista al McKellar Golf Podcast, riflettendo su come la pandemia stesse condizionando la stagione in corso, ha usato parole dure contro il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dandogli dell’arrogante e dell’irresponsabile.
“Ha politicizzato il virus come se fosse un elemento per manovrare il consenso e l’opinione pubblica. Ha sottovalutato la pandemia, che negli Usa ha presto provocato la morte di oltre centomila persone, e ha poi continuato a trattare la questione come fosse un mero contest per determinare meriti e demeriti politici, spesso ignorando gli esperti. Un presidente non si comporta così, è stato avventato e superficiale.
Non sono queste le qualità che un politico dovrebbe avere”. McIlroy conosce Trump per averci giocato nel 2017 e non nasconde il piacere di quella giornata. “Sono state 18 buche divertenti, nulla da dire. Qui però sto facendo un altro ragionamento e riguarda la salute di milioni di persone. Forse oggi non rigiocherei con lui, ma per quello che sto dicendo forse sarebbe lui il primo a rifiutare”. In realtà, visto l’attuale calo di popolarità del Tycoon, probabilmente pochi professionisti avrebbero oggi il piacere di trascorrere una giornata con il presidente americano.
C’era una volta Tiger, oggi c’è ancora, ma non è più l’unico leader.