La stagione in corso sta seguendo un andamento soddisfacente. Sto giocando bene da tee a green e, nelle ultime settimane, sto puttando finalmente come un giocatore normale, non malissimo come lo scorso anno.
Di fatto sono stato un mese a casa lavorando molto sui green. Da ragazzo ho sempre puttato con pochissima rotazione, quasi dritto – dritto con la sensazione di dare un colpo secco. Poi, nel tentativo di avere una maggior efficacia e avendo sentito diversi coach, ho deciso di seguire i consigli e seguire un movimento più ritmato e con rotazione. Non avendo però riscontrato risultati ho fatto un mese a casa seguendo le mie idee. A Belfry è andata maluccio poi però in Spagna e in Belgio ho avuto le migliori settimane della stagione per rendimento sui green.
Spesso si parla di “ritorno alle origini” ed effettivamente può essere utile. Se osservate Martin Kaymer a 16/17 anni e oggi vedrete uno swing molto simile. I migliori giocatori fanno piccole variazioni. Alcune caratteristiche peraltro sono impossibili da cambiare. Penso che sia utile fare piccole variazioni senza però stravolgere tutto. Quello che funziona meglio, per noi che giochiamo ad alti livelli, sono cambiamenti minimi. Certo, se un giocatore inizia a fare 85 è meglio stravolgere.
Nel mondo amateur, diciamo il dilettante che gioca nei weekend, vale un discorso analogo. Se io cambio grip per diverse settimane faccio fatica a essere efficace. Figuratevi cosa può significare tale cambiamento per un dilettante che magari sta in campo pratica un’ora a settimana. La cosa migliore è prendere lezione con un maestro che ci conosce e limitare gli errori. Per i grossi salti di qualità va investito del tempo, cosa che spesso manca a chi lavora e, di conseguenza, gioca poco. Una lezione o due al mese possono essere un iter utile per la maggior parte dei dilettanti.
Il mese di giugno sarà quello dello U.S. Open. Non conosco il campo, leggevo qualche giorno fa delle informazioni e credo sia un campo “classico” da U.S. Open. Negli ultimi anni c’era meno rough e zone rasate intorno ai green. Ora invece USGA ha voluto tornare alle origini con green piccoli e rough alti. Il campo premierà chi giocherà meglio da tee a green.
A volte mi chiedono come sia giocare combattendo per il par per dei professionisti abituati a scendere molto sotto. Per i giocatori più forti l’adattamento è automatico. Si prova il campo, si capisce che far par è dura e di conseguenza ci si mette in testa che si può vincere anche con un + davanti. Chi non riesce perde in partenza.
Serve tanta pazienza, tanti fairway, pochi rischi. I birdie vengono quasi per sbaglio e bisogna saper cogliere le poche occasioni che si hanno. Prepararsi a lottare dalla 1 del primo giro alla 18 dell’ultimo è fondamentale e ogni volta che si lascia un green il pensiero deve essere che c’è una buca in meno al traguardo. L’esperienza ovviamente aiuta.
Sulla carta è un campo che può ben adattarsi a mio fratello Francesco. Sta giocando meglio dello scorso anno. Gli manca continuità. Un giorno gioca bene sino al green e putta male o viceversa. Sarà in campo al Memorial, poi pausa e U.S. Open. Arriverà rodato senza uno stop troppo lungo che non è mai ideale.
Giocare la settimana prima di un major è una scelta assolutamente individuale. Tra i giocatori che seguiamo ci siamo resi conto che alcuni performano meglio con una settimana di stop, altri giocando due settimane di seguito. Ci sono alcuni che a casa vanno in palestra e hanno una resa, altri che giocano 9 o 18 buche con amici e poi hanno buoni risultati. Noi guardiamo le statistiche degli ultimi anni e da lì capiamo cosa consigliare a ogni atleta per poter performare al massimo nei grandi eventi, tornei che possono cambiare per sempre il destino delle loro carriere.