I Berckman erano una famiglia di origine belga, emigrata dal New Jersey nella giovane cittadina di Augusta, in Georgia, nel lontano 1800.
Era formata perlopiù da imprenditori in cerca di affari ed il sud del paese, con le piantagioni di cotone e il mercato della frutta, rappresentava l’occasione per una nuova avventura nel mondo del business.
Fu così che si ritrovarono quasi senza volerlo a essere proprietari di un appezzamento di terreno naturalmente ondulato di circa 130 ettari con un bell’edificio all’interno, il tutto a circa cinque chilometri dal centro.
Era stato dapprima un rigoglioso frutteto con alberi di pesche e mele, piante di uva, di fragole e molti tipi di arbusti.
In un giorno d’estate del 1931 i Berckman decisero di vendere la proprietà e Prosper, il più anziano tra i membri della famiglia, fu incaricato di gestire le varie trattative.
Si ritrovò così di fronte al notaio insieme a chi da mesi aveva dimostrato interesse all’acquisto.
Erano due giovani amici. Da una parte un certo Clifford Roberts, commerciante di successo, dall’altra il famoso Bobby Jones, giovane ingegnere e avvocato di Atlanta, ma soprattutto a quel tempo considerato il più famoso golfista al mondo. L’unico che da dilettante era riuscito a battere i più forti professionisti, vincitore di quattro edizioni dello U.S. Open e di tre dell’Open Championship. Più tutto il possibile tra i campionati nel mondo per dilettanti.
L’obiettivo di Roberts e Jones, quest’ultimo fresco vincitore dell’Open britannico, era quello di costruire in Georgia un campo per ospitare tornei di livello internazionale.
Pur forte e consapevole della sua fama, non credo che Jones in quel momento immaginasse che tutto quel ben di Dio di natura sarebbe diventato un campo unico, vero tempio della storia golfistica americana e non.
Per tutti, con il cappello di professionista o quello di dilettante, quel pezzo di terra oggi rappresenta un emblema nella mente e nel cuore di chi ama il golf. Tanto importante da essere da molti ritenuto il più bel campo del mondo.
Ma l’Augusta National significa soprattutto la casa del Masters, i tornei major più affascinanti, quelli che più ti rimangono impresso se hai avuto la fortuna di viverlo sul posto in qualunque forma.
Solo al Masters riesci a vivere una realtà golfistica speciale, unica, entusiasmante, un viaggio indimenticabile che inizia già quando, percorrendo la Washington Road di Augusta, giri a sinistra.
Poi passi il gate rispondendo al saluto del guardiano, entri, percorri l’Eisenhower Road e, se sei autorizzato, svolti verso la clubhouse sulla Magnolia Lane.
Questo viale alberato è più corto di un par 4, 300 metri mal contati, ma senza dubbio figura tra le strade più famose degli Stati Uniti e la più conosciuta al mondo tra i golfisti, insieme a quella sulla 17 dell’Old Course di St Andrews. Buca chiamata appunto Road Hole.
Nel 1850, i Berckman piantarono su ognuno dei due lati 61 magnolie, oggi alberi secolari. In stagione formano uno splendido pergolato che sovrasta il visitatore e lo accoglie all’interno di una dimensione fatta di profumi e soprattutto di tanti ricordi.
Una lunga storia che racconta il passaggio di chi, su queste magnifiche buche, ha scritto nel tempo il grande libro del golf mondiale.
Sono stato al Masters due volte.
La prima nel 1994, quando s’impose Olazábal e poi, dopo tre anni, per la prima delle 15 vittorie di Tiger Woods in un major.
Aveva soltanto 22 anni e si capì subito su quale pianeta diverso da tutti gli altri giocasse a golf. Entrambe sono state occasioni indimenticabili, un tuffo in un’atmosfera magica.
Non sono solo i quasi 50.000 spettatori al giorno che sono riusciti ad accaparrarsi il biglietto per seguire i loro beniamini che fanno del torneo qualcosa di speciale.
E non lo è nemmeno la possibilità di vedere i più forti giocatori del pianeta. O l’impeccabile organizzazione. Il Masters è storia, tradizione, il trionfo di una catena infinita di simboli. Eccone alcuni.
Sin dal 1949, una giacca verde viene assegnata al vincitore che deve puntualmente restituire alla clubhouse un anno dopo la sua vittoria. Anche se rimane di sua proprietà e viene conservata con le giacche degli altri campioni. Il giocatore che s’aggiudica il torneo più di una volta usa la stessa giacca verde (a meno che non abbia bisogno di essere adattata nel caso di cambi di taglia).
Poi c’è la Champions Dinner, evento inaugurato da Ben Hogan nel 1952. Si tiene il martedì prima di ogni torneo. Il campione in carica sceglie il menù e invita solo i past champion, insieme a pochi membri dell’Augusta National Golf Club.
A partire dal 1963, vengono scelti ogni anno alcuni campioni del passato per aprire il torneo con il loro tee shot alla buca 1. Nel tempo è toccato a Fred McLeod, Jock Hutchinson, Gene Sarazen, Sam Snead, Byron Nelson, Arnold Palmer, Lee Trevino, Jack Nicklaus e Gary Player.
Dal 1960, il mercoledì, giorno che precede il primo giro, si gioca una gara semi-sociale sulle 9 buche del percorso par 3 all’interno dell’Augusta National. I professionisti che vi partecipano hanno come caddie i loro famigliari, i quali spesso giocano colpi per loro conto. In 59 edizioni sono stati effettuate 94 hole in one, di cui ben nove nell’edizione 2016.
Sam Snead, nel 1974, è stato il primo ad aggiudicarsi più volte il Par 3 Contest. Altro record più recente è stato quello nel 2018 di Tom Watson, che ha conquistato la sua seconda vittoria ben 36 anni dopo aver vinto la prima, nel 1982. Jimmy Walker detiene il record del percorso stabilito nel 2016, con un giro di 8 sotto il par, compreso una hole in one. Sette giocatori (Sam Snead, Isao Aoki, Jay Haas, Sandy Lyle, David Toms, Pádraig Harrington e Tom Watson), hanno vinto il torneo in più di un’occasione.
Sul campo esisteva fino a poco tempo fa un albero passato alla storia, l’Eisenhower Tree. Questa volta non si tratta di una magnolia, ma un enorme loblolly pine (Pinus Taeda, pino tipico degli U.S.A. sudorientali). Era alla buca 17, a circa 190 metri dal tee. Il presidente degli Stati Uniti, Dwight D. Eisenhower, socio di Augusta, lo prese così tante volte che, in una riunione del club del 1956, propose di abbatterlo. Ma l’albero, nonostante la richiesta dell’uomo più potente del mondo, rimase al suo posto sino a febbraio 2014. Fu a causa di ingenti danni durante una tempesta di ghiaccio che costrinsero il club a rimuoverlo.
Se si tenesse un confronto qualificato per determinare il campo da golf più famoso del mondo, quasi certamente il dibattito si risolverebbe con lo scegliere tra l’Augusta National, in Georgia, e l’Old Course di St Andrews, in Scozia. St Andrews è spesso definita “La casa del golf” e la sua nascita risale al 1400, oltre cinque secoli prima della nascita dell’Augusta National. Ma c’è da considerare che l’Open Championship si gioca a St Andrews una volta ogni cinque anni e ha ospitato solo 14 edizioni del torneo dall’inizio del Masters.
Mi fermo qui, so bene che affermare che Augusta sia il campo più famoso al mondo rispetto all’Old Course è cosa azzardata.
So anche bene che sostenere che il Masters sia più importante dell’Open Championship sia un altro azzardo.
Per cui, diciamo allora che con il suo famoso torneo, anche quest’anno, dopo 83 edizioni già disputate, il sogno di Bobby Jones conquisterà sicuramente un’altra medaglia d’oro tra quelle che può appuntare sul petto della propria fantastica storia.
Anche se, svolgendosi in autunno, ci mancherà tanto la meravigliosa cornice di fiori che danno il nome alle 18 buche.
E il ruggente tifo di quasi 50mila spettatori. Speriamo che, la seconda settimana del prossimo aprile, tutto questo sia solo un ricordo.