Inutile negarlo: noi italiani abbiamo da sempre la competizione nel sangue, di qualsiasi livello si parli.
Nel corso dei tanti viaggi all’estero fatti pre pandemia per Golf & Turismo, ogni volta che si chiacchierava del più e del meno con colleghi giornalisti o addetti ai lavori, la domanda di prassi era più o meno sempre la stessa: “Quanti giocatori e circoli di golf avete in Italia?”. L’ultima parte della nostra risposta lasciava di sasso i nostri interlocutori. “Circa centomila praticanti, più di 370 strutture golfistiche, oltre 220 campi con almeno 9 buche e ogni anno vengono disputate nel nostro paese tra le 12 e le 13mila gare amateur”.
Bastava poco per rendersi conto che, agli occhi di chi non vive e conosce da vicino la nostra realtà, l’Italia è considerata un vero e proprio fenomeno, un caso che non ha paragoni nella mappa golfistica mondiale.
Se per praticanti non brilliamo certo con numeri strabilianti, alla voce ‘gare amateur’ siamo invece nettamente il paese da cui prendere esempio assoluto.
Il perché è presto spiegato: noi italiani siamo nati per competere, ce l’abbiamo nel DNA. Non c’è disciplina sportiva che pratichiamo, anche con scarsi risultati, che non finisca come minimo in una accesa partitella tra scapoli e ammogliati, e non importa se in palio c’è magari solo una semplice pizza.
Nel golf il disco è lo stesso, anzi molto peggio: chiunque sia stato preso dal sacro fuoco di bastoni e palline è caduto anche immediatamente folgorato dal meccanismo magico di questo gioco, quello che permette in 18 buche di sfidare sé stessi e i propri limiti e, allo stesso tempo, di competere contro amici e avversari di qualsiasi livello tecnico.
Se a questo mettete poi una gara con in palio premi di differente natura e importanza, il gioco è praticamente fatto.
Prima a marzo e poi di nuovo a ottobre dello scorso anno, il Covid ha costretto le tradizionali gare e i circuiti amateur a un doloroso e obbligato stop, così come tutte le attività sportive dilettantistiche del nostro paese.
Una decisione che, oltre a lasciare ogni singolo appassionato golfista improvvisamente privo del suo principale divertimento, ha messo a dura prova la sopravvivenza dei nostri circoli, che di queste vivono, rappresentando una voce importante in termini di fatturato. Senza dimenticare le tante aziende che ruotano intorno al nostro settore e che negli eventi dilettantistici investono ogni anno cifre davvero considerevoli.
Il decreto riaperture del Governo Draghi del 26 aprile scorso e la successiva circolare della Federazione Italiana Golf hanno messo finalmente la parola fine a General Play e 18/18, nati i mesi scorsi per consentire comunque ai golfisti amateur di scendere in campo respirando l’atmosfera delle competizioni, in attesa di tornare alla totale normalità.
Oggi tutte le gare, senza più distinzione alcuna, tornano a riempire le giornate e i calendari dei circoli nonché le agende di migliaia di giocatori.
Il via libera parte dalle regioni con il livello di contagio più basso, quelle gialle, sempre rispettando le norme in tema di sicurezza dettate dal protocollo Fig e dal Governo. Sono Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Provincia autonoma di Bolzano e di Trento, Toscana, Umbria e Veneto.
Vista l’attuale situazione nazionale, con la curva di contagi, il tasso di positività e i ricoveri in graduale discesa e la campagna vaccinale in pieno corso, la speranza è che anche le rimanenti regioni, ovvero Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia, Valle d’Aosta e Sardegna possano presto unirsi al resto d’Italia.
Torniamo quindi a goderci il golf senza più barriere, a vivere appieno i nostri amati circoli, a pianificare weekend a caccia delle gare più prestigiose per sfidare i vecchi amici di sempre.
Dicono che noi golfisti, per la natura della nostra passione, siamo gente abituata a rispettare le regole. È giunto il momento di farlo, e non solo in campo questa volta, per non trovarci mai più a dover fermare ancora il gioco più bello del mondo e soprattutto le nostre vite.