È il 14 dicembre del 2015, sono le 11 del mattino. Negli uffici della Federazione Italiana Golf, in viale Tiziano a Roma, suona improvvisamente il telefono, quello del Presidente. Franco Chimenti alza la cornetta, dall’altra parte del cavo c’è Keith Pelley, neo CEO dell’European Tour. “Roma ha vinto, l’Italia ospiterà la 44esima Ryder Cup”.
Questa è la storia di un sogno che a detta di molti sembrava irraggiungibile, diventato prima un’idea concreta, poi un progetto serio e infine una splendida realtà. Questa è la storia di una visione, quella avuta dal suo lungimirante ideatore, Franco Chimenti. Tutto nacque poco più di un anno prima, durante l’Open Championship del 2014 a Liverpool, quando lo stesso Presidente federale iniziò a parlarne seriamente con i vertici dell’European Tour, il CEO George O’Grady e Richard Hills, allora direttore della Ryder Cup. “Portare la coppa a Roma sarebbe una straordinaria vetrina per il golf europeo e per tutto il movimento – pare disse O’Grady in quell’occasione -, dovreste valutare una vostra candidatura alla prossima edizione”. Se un po’ conoscete il nostro Presidente federale potete facilmente capire che davanti a tale assist di certo non si tirò indietro, anzi.
Nicola Forcignanò, direttore di questa testata a quei tempi, da grande penna del giornalismo italiano non si fece nemmeno lui scappare l’occasione. Golf&Turismo fu infatti il primo media in assoluto a darne notizia e uscì ad agosto di quell’anno con una copertina che fece ovviamente molto scalpore: “Voglio la Ryder a Roma” il suo titolo, ripreso dal concetto espresso per la prima volta ufficialmente proprio dal Presidente nella sua intervista in esclusiva a questo giornale.
Ci fu chi la definì una pazza idea, al limite del surreale. Un paese non certo evoluto a livello golfistico, all’improvviso, aspirava a ospitare il più grande evento di questo sport, il terzo più seguito dopo Mondiali di Calcio e Olimpiadi. In molti sorrisero, altri cominciarono a sognare, Franco Chimenti e tutto il suo staff invece si misero immediatamente al lavoro. Certo, ci voleva un grande coraggio per puntare a un bersaglio così prestigioso. Ma quello al Presidente non è mai mancato, basta scorrere i tantissimi risultati che nella sua vita ha ottenuto per rendersi conto che per lui l’asticella non è mai stata troppo alta per farlo desistere. E quella della Ryder Cup lo era davvero.
Sette anni e una pandemia dopo, l’Italia è finalmente pronta a diventare l’ombelico del mondo golfistico. Il Marco Simone, il teatro della sfida, ha già mostrato tutto il suo appeal negli ultimi due Open d’Italia, ricevendo i complimenti nientemeno da chi guiderà il team europeo in campo a caccia della coppa persa malamente a Whistling Straits, Rory McIlroy. A ottobre il primo atto ufficiale, Year to Go, ha acceso le luci su Roma e il nostro Paese, ospitando le due delegazioni di Europa e Stati Uniti capitanate da Luke Donald e Zach Johnson in una tre giorni indimenticabile, avvolti dal fascino unico della Città Eterna e dalle sue meraviglie architettoniche.
Quello che si apre è un anno storico e per molti versi irripetibile per il nostro movimento, che godrà di una visibilità senza precedenti. Più che ai meri bilanci di fine stagione ci è sembrato quindi doveroso dedicare la copertina di questo numero proprio al 2023, da noi simbolicamente ribattezzato “Il Giubileo del Golf”. Davanti a noi abbiamo l’occasione di una vita, quella di contribuire tutti insieme a cambiare il destino del golf italiano. E se ci pensiamo bene, il destino non è altro che la conseguenza dei nostri pensieri e dalle nostre azioni.