Dopo tre edizioni da protagonista, con altrettante vittorie, quest’anno non sono riuscito a qualificarmi. Ora mi calo in un nuovo ruolo, quello di vicecapitano, pronto ad aiutare i ragazzi del team e tirare fuori il meglio per riportare la coppa a casa.
La mia nomina a vicecapitano non è stata una grossa sorpresa.
Conosco molto bene Luke Donald, Thomas Bjørn, Nicolas Colsaerts, José María Olazábal e ovviamente mio fratello Dodo, con i quali ho già condiviso in passato diverse esperienze in Ryder.
Non mi era stato detto apertamente che mi avrebbero chiamato ma mi avevano fatto capire che in un modo nell’altro a Roma ci sarei stato. Sono stato presente alle cene e a qualche meeting con Donald, sospettando che sarei stato coinvolto. Dopo l’Open Championship Luke mi ha parlato più apertamente e, come detto, ho accettato il nuovo ruolo di buon grado.
Pronto per questa nuova sfida
Avevo l’obiettivo e il sogno di giocare potendo dare un contributo in campo, ma sono stato io il primo a essere consapevole che in questo stato di forma non avrebbe avuto senso. Alla Hero Cup ho ricoperto il ruolo di capitano, un altro indizio. Ho giocato bene sia lì che la settimana successiva ad Abu Dhabi, pensando a un segnale positivo per un cambio di rotta. Ho giocato con soddisfazione anche a Bay Hill in un field di livello assoluto. Poi ho faticato a ritrovare buone sensazioni e ho iniziato a rendermi conto, con il passare delle settimane, che la forma andava nella direzione sbagliata e l’appuntamento Ryder si avvicinava sempre più.
Il livello sul PGA Tour è sicuramente molto alto e giocare in Europa forse mi avrebbe permesso di avere risultati leggermente migliori. In ogni caso il livello di gioco che ho avuto non sarebbe stato sufficiente per qualificarmi o meritare una wild card, anche perché l’obiettivo non era quello di fare la comparsa ma di dare un contributo importante.
Tornando con la mente alla mia prima Ryder in Galles nel 2010 ma anche alla successiva a Medinah, edizioni alle quali mi sono qualificato, c’è da dire che allora c’erano meno wild card e, giocando quasi esclusivamente in Europa, mi rendo conto di come fossi poco preparato. Non ero abituato al livello di gioco che esprimevano quanti erano in pianta stabile sul PGA Tour. Da allora ho potuto concentrare i miei impegni negli States riuscendo a fare altri progressi. Così, alla Ryder 2018 sono arrivato in grandi condizioni e abituato a competere a un livello superiore.
Il mio ruolo come vicecapitano
Ora scenderò in campo a Roma con un altro ruolo, quello di vicecapitano. Il capitano ha una grande responsabilità perché prende le decisioni e comunica con i giocatori. Noi siamo i suoi assistenti e lo aiutiamo soprattutto in veste di osservatori. Saremo distribuiti uno per match, specie i primi giorni quando si disputeranno quattro incontri in contemporanea, per vedere come performano i nostri e aiutare così Donald nelle sue decisioni.
Noi cinque vicecapitani abbiamo background diversi: Dodo ha conoscenze statistiche e avrà il compito di analizzare i fatti razionalmente. Thomas e José Maria sono ex capitani e potranno supportare Luke con decisioni che noi altri non possiamo comprendere. Io e Nicolas siamo quelli più vicini, per certi versi, ai giocatori e cercheremo d’interpretare i momenti aiutando chi sta in campo.
Per mia esperienza, sia che si giochi bene o male, durante i tre giorni ci sono momenti molto negativi e picchi di entusiasmo altissimi non facili da gestire. Cercherò di trasmettere la mia esperienza specialmente ai più giovani.
La magia della Ryder
Giocare in Ryder è speciale. Dalla settimana dopo si torna in campo l’uno contro l’altro ma con tutti i giocatori con i quali si ha giocato resta un legame forte e unico, molto diverso dalle esperienze che viviamo quotidianamente. Con Tommy (Fleetwood) c’era già un’amicizia prima del 2018 ma Parigi ha creato tra noi qualcosa di magico.
Stesso discorso, a parti invertite, con gli avversari. In quelle situazioni di pressione e competizione ai massimi livelli viene fuori la vera natura dei giocatori. Se un avversario ha comportamenti che si ritengono al limite della correttezza e del fairplay non lo si dimentica. La rivalità con gli americani c’è ed esiste anche se giochiamo insieme tutte le settimane, ma in caso di comportamenti sopra le righe il rapporto rimane segnato. Non è un segreto che molti europei dopo la Ryder abbiano addirittura rotto i rapporti con qualche collega d’Oltreoceano.