Nello sport, come nella vita, c’è una sottile linea che divide le persone normali da quelle speciali: la capacità o meno di tirare fuori il meglio di sé nei momenti decisivi, che segnano il cammino di una vita e il proprio destino.
“Carpe diem” – sussurrava il professor Keating, l’indimenticabile Robin Williams, nell’Attimo Fuggente, il capolavoro cinematografico di Peter Weir -. Cogliete l’attimo, ragazzi, rendete straordinarie le vostre vite”. Il senso della frase che Keating fece propria dal poeta americano Walt Whitman e che cercava di trasmettere ai suoi studenti era quello di vivere la vita in modo pieno: oggi ci siamo, domani non più, non ha senso tergiversare, rimandare, vivere in sordina. Bisogna affrontare le cose al massimo, vivere con passione, consapevoli che nessuno conosce il proprio futuro e ogni momento del presente è unico e prezioso.
Dustin Johnson ha finalmente colto il suo attimo fuggente ad Augusta, il 15 novembre scorso, trasformando il suo 2020 da eccezionale a straordinario.
Dietro a quella Giacca Verde, che ha indossato per la prima volta con un po’ di imbarazzo al termine di un Masters dominato, si nasconde un ragazzo di pochissime parole, in grado di trasformarsi però in un leone appena grippa un bastone da golf.
Non ha mai amato i grandi proclami, le telecamere e i microfoni, ma il silenzio del campo, il suo habitat naturale, dove esprime il lato migliore della sua personalità.
“Per il resto ci devo ancora lavorare…” – ha detto con il groppo in gola e gli occhi lucidi durante la premiazione. Non necessariamente: le emozioni, caro DJ, sono la linfa della nostra vita, senza quelle saremmo confinati a un’esistenza piatta e decisamente triste.
Quelle lacrime e quell’uomo, così diverso da quello freddo e distaccato su cui ha costruito la sua immagine, lo hanno immediatamente riavvicinato a ognuno di noi.
Per Dustin il Masters era un chiodo fisso: nato a Columbia, a poco più di un’ora dall’Augusta National, è cresciuto con il fratello Austin, il suo caddie di sempre, a pane e golf, sognando un giorno di farsi aiutare a indossare quella giacca proprio da Tiger.
Ci era andato vicino già lo scorso anno, beffato proprio da Woods sul filo di lana: quest’anno il destino ha ribussato alla sua porta e DJ ha colto l’attimo, entrando nel club dei Masters Champions a suon di record, ben nove.
A lui e alla sua straordinaria stagione abbiamo deciso di dedicare l’ultima copertina di questo anomalo e tormentato 2020.
DJ è l’immagine del successo nella sua forma più pura e della filosofia della vita, di chi, dopo aver ottenuto fama e trionfi, è poi rovinosamente caduto ma ha avuto la forza interiore di rialzarsi, tornando ad essere più forte di prima.
Nell’agosto del 2019 chiuse ultimo il Tour Championship, la gara conclusiva della FedEx Cup, a 28 colpi da Rory McIlroy.
Oggi, a distanza di poco più di un anno, guarda di nuovo tutti dall’alto. Merito di una stagione praticamente perfetta, in cui ha portato a casa FedEx Cup, Masters e si è ripreso il numero 1 del World Ranking, diventando il quarto giocatore dopo Tiger Woods, Greg Norman e Rory McIlroy ad essere stato in testa alla classifica mondiale più di cento settimane.
Il 30 sotto il par con cui ha frantumato gli avversari nel Northern Trust a fine agosto, il più basso punteggio mai registrato nella storia del PGA Tour, è l’ennesimo record da incorniciare.
Keating nell’Attimo Fuggente sale sulla cattedra per ricordare a sé stesso e ai suoi allievi che bisogna sempre guardare le cose da angolazioni diverse, che è proprio quando si crede di sapere qualcosa che bisogna iniziare a inquadrarla da un’altra prospettiva.
Un suggerimento che Dustin Johnson, guardando il suo percorso, sembra aver preso alla lettera: è salito su quella cattedra, ha osservato le cose che lo circondavano in modo differente rispetto a prima, si è rimesso in gioco.
E ha poi colto il treno che passava, diventando padrone della sua vita e del suo destino.