L’ultimo in ordine di tempo è Justin Thomas, che il mese scorso ha trionfato nel PGA Championship aggiudicandosi il suo secondo Wanamaker Trophy in carriera. Thomas è uno dei più forti talenti del PGA Tour e non lo dico solo io ma anche un signore ben più conosciuto di nome Tiger Woods. Il Campione ha più volte affermato quanto il suo amico sia oggi il giocatore più completo. Quando il putt funziona il neo vincitore del PGA Championship diventa veramente imbattibile.
Da un talento a un altro con Rory McIlory.
Il nordirlandese manca un torneo del Grande Slam dal 2014 ma in queste ultime occasioni è sempre lì a un paio di colpi dalla vittoria. Non fatico a credere che a breve possa tornare a incidere il suo nome su uno di questi trofei.
Il suo livello di gioco è altissimo ma gli manca quella cattiveria, quella “fame di vittoria” che invece hanno i suoi colleghi del Tour.
E arriviamo allo U.S. Open, il terzo major della stagione. Parto subito con il dire che il vero protagonista sarà come sempre il campo e il suo set-up. I percorsi di questo appuntamento sono preparati al limite dell’impossibile ed è quindi difficile fare un pronostico anche se, gira e rigira, i nomi nella parte alta del leaderboard sono spesso gli stessi.
Si giocherà al Country Club, a Brookline, che ospitò l’ultimo U.S. Open nel 1988 e l’unica certezza che posso dirvi è che quello di quest’anno sarà tutto un altro sport rispetto all’ultima volta. Il motivo è presto detto: negli ultimi sette/otto anni a trionfare sono stati i super bombardieri.
Da ormai quasi 10 anni a questa parte vige la politica del ‘meglio il rough vicino al green che precisi ma corti’ e credo che in questa 122esima edizione si ripeterà la stessa storia. Sul PGA Tour esiste infatti una tendenza curiosa: se si ha più di 30 anni si fa ormai molta fatica a vincere e questo si collega a quello che ho detto poco fa.
Quest’anno nessuno sopra i 35 anni di età ha vinto un torneo ed è la prima volta che succede nella storia del massimo circuito americano. Rispetto a vent’anni fa i giovani professionisti di oggi maturano più velocemente, hanno più consapevolezza e presa di coscienza del proprio gioco. Ultimo ma non meno importante, il golf oggi è uno sport fisico e atletico ed è quindi chiaro che chi ha qualche anno in più fa fatica a stare al passo. Questo nuovo modo di interpretare il golf si riflette anche nel panorama dilettantistico.
Se andate a seguire i ragazzi e le ragazze in una gara giovanile vi accorgerete quanto tutti tirino fortissimo.
Non si può parlare di major senza dire due parole su Tiger Woods. Partendo dal presupposto che credo debba fermarsi, far riposare il fisico e ripresentarsi in occasione dell’Open Championship, non si può che lodare quello che questo campione sta continuando a fare. Solo un essere soprannaturale riesce a superare il taglio sia al Masters che al PGA Championship giocando praticamente su una gamba sola. E capisco quanto il circuito americano, gli sponsor e tutto l’entourage che ruota intorno al mondo del golf, lo pressi per farlo scendere in campo perché sanno perfettamente che quando smetterà l’interesse nei confronti del golf calerà almeno del 30%.
Infine, diciamo due parole sui due italiani impegnati a Brookline. Francesco Molinari sta tornando a un buon livello nonostante le difficoltà che sta riscontrando. Era palese che in mezzo a questi nuovi fenomeni se ti fermi per un lungo periodo come ha fatto lui rientrare ed essere competitivo diventa un problema. Guido Migliozzi invece fatica a ritrovare il ritmo e le performance alle quali ci aveva abituato. Vero anche che la stagione sta entrando ora nel suo periodo più caldo e il giovane vicentino ha ancora tempo per risollevare le sue sorti.