In una delle rare uscite in fairway consentite dalla cromatologia del Covid (rosso, arancione scuro, giallo, eccetera) il mio amico Mario si è lasciato andare, tra un rattone e l’altro, ad alcune pregevoli considerazioni.
Occorre sapere che Mario solo da poco è un golfista assatanato. Nella vita precedente, quando nel suo perimetro psichico entravano anche persone, oggetti e sensazioni che nulla avevano a che fare con driver, sand e putter, aveva studiato medicina prima di saltare dall’altro lato della scrivania e affermarsi come bravo informatore scientifico.
Tutto questo per dire che quando parla di salute, il mio amico sa il fatto suo. Trascinando il carrello verso il green della penultima buca aveva osservato che giocare 18 buche equivale a un minimo di 10.000 passi al giorno. Esattamente quelli che l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ritiene necessari per vivere in salute.
Ha anche raccontato di aver letto da qualche parte che chi insegue una pallina dalla buca 1 alla 18 percorre come minimo 7 chilometri all’aria aperta, consumando una quota di calorie che può variare da un minimo di 1.200 a un massimo di 2.300.
“In poche parole – ha sentenziato Mario – il golf è l’esatto prototipo di un’attività fisica nella quale il sistema cardiovascolare non è mai sotto stress, uno sforzo prolungato a bassa intensità, una mano santa per il cuore. Senza contare che giocare aiuta a tenere sotto controllo pressione arteriosa, colesterolo, trigliceridi e glicemia”.
Come vi ho già spiegato, Mario non è da molto che è approdato nell’universo golf. E ho quindi evitato di fargli notare che il golf fa sicuramente bene alla salute fisica, muove quasi l’80 per cento dei muscoli del corpo umano, riduce zuccheri e grassi nel sangue, ma riesce, nelle giornate in cui non la alzi neppure con le mani, a farti imbestialire più della suocera e del capo ufficio messi insieme.
Ho glissato sull’argomento e lui – come se il mio silenzio lo avesse ancor più eccitato – ha cominciato a inveire contro chi queste cose non le capisce e tratta il golf come un passatempo per sfaccendati, accostandolo a biliardo e freccette. “In green ci si costruisce una vecchiaia sana – ha sbottato – pensa quanti soldi risparmiati per il sistema sanitario nazionale. Dovrebbe passarlo la mutua il golf, altroché …”.
E qui è partito il pistolotto contro i Dpcm che chiudono a intermittenza i campi come se il virus si aggirasse tra bunker e ostacoli d’acqua. “Il distanziamento in campo lo fa il driver, non la paura del virus. Perché toglierci questa sana abitudine e negarci la possibilità di una bella passeggiata nel verde?”.
In effetti il ragionamento del mio amico non fa una grinza: bar e ristorante solo da asporto, spogliatoi sprangati, mille accorgimenti per rendere ancora più sicura questa passione. Perché dunque proibirla quando il virus spinge in zona rossa?
Sono stato d’accordo con lui fino al rientro in segreteria. Lì l’occhio mi è caduto sugli iscritti al “General Play” di sabato. Una novantina di nomi tracciati a matita e tutti ammassati in una paginetta. C’era anche quello di Mario. Allora ho capito che tutto il suo panegirico – peraltro inattaccabile – serviva solo a giustificare il suo spirito competitivo.
“Non giochi a golf per costruirti una vecchiaia serena – avrei voluto dirgli – ma solo per abbassare il tuo handicap e, se possibile, battere il ragionier Persichetti che da sempre ti sta cordialmente sull’anima”.
Ma non gliel’ho detto. Ho rimesso la sacca in macchina e lo spirito critico nel taschino.