E’ passato quasi un secolo, ma il mito rimane. E ormai scivola nella leggenda. Robert Tyre Jones, detto Bobby, è senz’altro sul podio della storia del golf. E potrebbe essere il gradino più alto, se non fosse che la sua carriera, sempre e solo da dilettante, non fosse durata molto meno di quella degli altri due giganti, Nicklaus e Woods.
Bobby infatti veniva quasi considerato imbattibile, pur avendo di fronte avversari come Walter Hagen, Gene Sarazen e Tommy Harmour. Nei suoi soli sette anni d’oro, dal 1923 al 1930, disputò 21 major e ne vinse ben più della metà, cioè 13. È un palmarès incredibile che lo mette al terzo posto nella classifica di tutti i tempi.
Per fare un esempio sulla sua infinita superiorità, ricordiamo che, per difficoltà di viaggi sull’Atlantico, giocò l’Open Championship solo quattro volte. Nella prima (1921), si ritirò alla buca 11 del terzo giro, autosqualifcandosi per un errore.
Passarono cinque anni prima che Bobby decidesse di nuovo di farsi vivo sulla costa orientale dell’Atlantico. Al Royal Lytham & St Annes vinse senza problemi e quindi tornò per difendere il titolo nel 1927. Di nuovo a St Andrews, Jones sbaragliò la concorrenza, lasciando gli avversari a sei colpi. Scoppiò l’amore per l’Old Course e per la cittadina scozzese, che nel 1958 lo nominò Freeman of the City. Era il massimo riconoscimento, che prima di lui solo un altro americano aveva ricevuto. E si chiamava Benjamin Franklin.
Bobby divenne quasi un eroe quando decise di lasciare la Claret Jug (allora esisteva solo l’originale) nella teca della clubhouse, senza portarla ad Atlanta. Il gesto rimase nella storia. In quello stesso anno, primo assoluto, Jones vinse sia The Open che lo U.S. Open.
L’ultimo incontro con la gara più antica del mondo avvenne nel 1930 al Royal Liverpool. E Bobby s’impose ancora, completando il Grande Slam di quattro vittorie nei major in uno stesso anno, che resta finora unico nella storia del golf.
Anche per motivi di salute, il fenomenale campione americano si ritirò proprio alla fine di quella stagione. E da allora si limitò a giocare, più che altro per affetto, solo il “suo” Masters. Sul meraviglioso Augusta National che aveva inventato nel 1934 con Clifford Roberts e l’inarrivabile architetto scozzese Alister MacKenzie. L’ispirazione per quel capolavoro? L’Old Course di St Andrews, naturalmente.