Alan Bartlett Shepard Jr. detiene un sacco di record. Fu il primo astronauta Usa a volare nello spazio. Lo fece a bordo della navicella Freedom 7, che, lanciata il 5 maggio 1961, viaggiò a 186 chilometri di altezza su una traiettoria suborbitale. Storica la frase che Alan pronunciò pochi istanti prima del lancio: «Per favore, buon Dio, fa’ che io non mandi tutto a puttane».
E questo lo rese subito simpatico a mezzo mondo. Ci sentimmo tutti al suo fianco anche quando, qualche tempo dopo, scelto come comandante della missione Gemini 3, dovette rinunciare perché colpito da una malattia subdola, la sindrome di Menière, che gli faceva perdere l’orientamento, l’equilibrio e gli procurava senso di nausea e vertigini. Che per un astronauta non è il massimo.
Venne lasciato a terra per tutti gli anni successivi, seduto a una lucente scrivania della Nasa, fino al 1969 quando, sottoponendosi a un’operazione per i tempi tanto avveniristica quanto rischiosa, riuscì a guarire dalla sua malattia.
Nel 1971, a 47 anni suonati, stabilì un altro strabiliante record: fu l’astronauta più anziano a partecipare a una missione spaziale e a mettere piede sulla Luna. Comandò l’Apollo 14, che agli inizi di febbraio scaricò per la terza volta degli esseri umani sulla superficie lunare.
La missione aveva il compito di realizzare numerosi esperimenti scientifici e raccogliere campioni di suolo lunare da riportare a terra per uno studio più approfondito. Ne caricarono a bordo 145 chili, e per fortuna nessuno alla Nasa venne in mente di calcolare l’esatta differenza di peso dal momento del lancio a quello del rientro.
Perché dall’equipaggiamento del decollo mancavano due palline da golf. Shepard, infatti, è passato, oltre che alla storia delle missioni spaziali, anche a quella del golf per essere stato il primo uomo – e per ora l’unico – a swingare sulla Luna.
Per riuscirci aveva modificato la parte finale di un ferro 6 così da poterlo incastrare in un attrezzo raccoglitore per rocce, nascondendolo poi in un calzino insieme a un paio di palline. Arrivato sulla Luna aveva lasciato cadere le palline e, dopo qualche di swing di prova, le ha colpite una dietro l’altra. Uno swing anomalo, fatto solo con la mano destra. D’altra parte provate voi a eseguire, con tuta spaziale, casco e respiratore, un movimento sciolto e ritmato. Soprattutto in assenza di gravità.
Morale: il primo colpo si fermò a 21 metri, il secondo scomparve quasi subito alla vista. Da perfetto golfista, Shepard annunciò gongolando alla base di Cape Canaveral che la palla aveva percorso, complice la rarefazione dell’atmosfera, una distanza straordinaria, addirittura “molte miglia”.
Non era vero. Si era fermata una ventina di metri più in là della prima ed era entrata sì in buca, ma in quella di un enorme cratere che l’aveva inghiottita nascondendola alla vista. È stata individuata poco tempo fa utilizzando i filmati dello storico colpo e le tecnologie del terzo millennio.
Il buon Shepard, lasciata la Nasa e i suoi razzi, si ritirò a Pebble Beach, in una casa con vista sul Cypress Point e chiuse gli occhi per sempre nel 1998, tradito da una leucemia.
Nell’immaginario di noi golfisti resta in ogni caso un mito inarrivabile.
A) è stato il primo uomo a giocare a golf sulla Luna;
B) per farlo ha raccontato un sacco di balle ai suoi colleghi e, forse, anche alla moglie;
C) si è esibito in due flappe inguardabili;
D) ha millantato lunghezze stratosferiche dei suoi colpi;
E) alla fine ha anche perso la palla.
Qualcuno di voi, a parte il punto A, si riconosce come me in questo identikit?