Quando Francesco e io siamo nati papà e mamma erano già golfisti.
Al Golf Torino la regola era che potevi entrare a otto anni, con il fratello piccolo che avrebbe avuto accesso un anno prima. All’inizio andare al circolo era una scusa per stare con loro.
Frequentavamo il club dei giovani, un modo di passare il weekend all’aria aperta praticando diversi sport e trascorrere del tempo in compagnia di ragazzi della nostra età.
Avere dei coetanei con i quali crescere è fondamentale perché, soprattutto all’inizio, praticare da soli diventa noioso. Per contro in compagnia è divertente e stimolante.
In principio Chicco e io giocavamo a golf e un pochino a tennis, sciando d’inverno. Lo sci a livello agonistico sarebbe diventato impegnativo per la distanza e l’impossibilità di allenarsi con costanza.
A quel punto il proseguimento del golf è diventato naturale. Sia chiaro, senza l’idea di diventare professionisti o fare chissà quale carriera.
I miei genitori sono stati one digit ed era divertente sfidarli. Da parte loro non c’è stato alcuna aspettativa nei nostri confronti. Caricare i figli è deleterio e tende a farli smettere.
Quando si cresce le motivazioni vanno trovate dentro sé stessi. Il gioco deve piacere altrimenti non è possibile avere buoni risultati. Inizialmente le sfide in famiglia erano su nove buche dopo il club dei giovani. Io e Chicco ci divertivamo molto ed era un modo per passare del tempo insieme. Andando a scuola giocavamo nel weekend e, da 11/12 anni, a volte in settimana per le lezioni collettive.
È stato un divertimento allo stato puro con gli amici, Sergio Bertaina e i nostri genitori. L’agonismo dilettantistico è venuto naturale partecipando a gare giovanili e campionati.
Il professionismo invece è arrivato tardi.
Innanzitutto perché c’erano pochi che provavano a fare la carriera da giocatore. Inoltre il patto era di finire prima gli studi. Dopo qualche mese di università abbiamo avuto l’idea di provare il passaggio al professionismo, ma come idea remota più che obiettivo.
Verso la fine degli esami invece ci abbiamo pensato più seriamente. Io sino a quando frequentavo l’università giocavo un paio di volte la settimana e non di più.
Impossibile avere risultati giocando poco così abbiamo intensificato. Io con ingegneria avevo cinque anni di studi mentre Chicco, frequentando economia 3 + 2.
Ha provato ed è passato prima di me. Avere una laurea era un vantaggio perché sarebbe stato un piano B. Il passaggio di Francesco è coinciso con la carta del Tour mentre io avevo vinto lo U.S. Amateur. Dal punto di vista economico la situazione era abbastanza risolta ed è andata bene. Penso che la chiave del successo sia stato aspettare il momento giusto.
A volte vedo giovani passare troppo presto su mini tour e perdersi.
Mi chiedono come fosse il nostro rapporto e se ci sia mai stata invidia. La risposta è no.
Quando ci sfidavamo tutti e due volevamo vincere ma siamo sempre stati vicini e non abbiamo mai litigato per il golf.
Abbiamo sempre provato ad aiutarci e giocare con il proprio fratello, peraltro allo stesso livello, è sempre stato uno stimolo. Oltre a genitori e fratello ho anche una moglie golfista.
Con Anna infatti ci siamo conosciuti al golf. Avere al proprio fianco una golfista è un grande vantaggio perché capisce i momenti sì e i momenti no e che a volte devo assentarmi per lunghi periodi.
Quando sono a casa spesso vengono con noi le nostre due bambine, passiamo tempo insieme e ci si diverte. In futuro sarà bellissimo poter giocare anche con loro.
Il golf è lo sport di condivisione per eccellenza perché è l’unico che, anche se non si è tutti allo stesso livello, regala grande divertimento in ogni occasione.