Qualche settimana fa ho fatto una chiacchierata su Skype con Joe Beditz.
È l’amato e inossidabile presidente della National Golf Foundation, istituzione che da sempre rappresenta negli Stati Uniti un preziosissimo serbatoio di informazioni per il mercato golfistico mondiale. Il risultato di quella conversazione mi ha portato a credere in un futuro migliore, che desidero condividere con voi.
Gli sono infinitamente grato per non aver mai dimenticato l’esperienza fatta insieme al congresso “Il futuro del golf e i giovani” che per conto della Federazione organizzai a Roma, al Palazzo Alitalia, nel 2001. Mi ricorda pure i piacevoli dettagli della nostra cena, per lui indimenticabile, a Palazzo Taverna.
Beditz è compiaciuto: “Nonostante i grandi problemi causati inizialmente dalla pandemia, le cose sono cambiate radicalmente quando i golfisti e i governi hanno capito che il golf era uno sport sicuro”. Purtroppo non conosce quanto il nostro governo, in controtendenza, abbia pensato altro.
Dato che il gioco si svolge all’aperto in grandi spazi, negli ultimi sei mesi, gli Stati Uniti hanno raggiunto risultati forse imprevedibili.
Da un deficit del 16% (a inizio anno) si è arrivati addirittura a un vantaggio del 3% rispetto al 2019.
I giri degli ultimi sei mesi sono aumentati del 20% rispetto al periodo precedente, un risultato da record. Fare un salto così significativo, durante un periodo che normalmente ha sempre rappresentato un alto volume di gioco, non ha precedenti e riflette circa 10 milioni di round al mese in più rispetto allo scorso anno.
Un risultato che andando indietro nel tempo, si ritrova solo nel 2012.
Approfondisco la questione e scopro che, sempre oltreoceano, le vendite al dettaglio di articoli da golf hanno raggiunto un livello record dall’inizio della stagione estiva.
E alcuni produttori addirittura non sono stati in grado di tenere il passo con la domanda.
Dopo più di un decennio di calo del gioco e della partecipazione, chi avrebbe potuto immaginare che una pandemia avrebbe rivitalizzato così le operazioni del golf americano?
Joe Steranka, ex CEO della PGA of America, ha recentemente affermato come la pandemia potrebbe essere “una reale opportunità di crescita per il gioco”.
Bloomberg ha dichiarato che il golf sta vivendo “un momento di rinascita”.
L’amico Arnaldo Cocuzza (ex direttore a Le Pavoniere, Padova e Milano) e John Lyberger, oggi entrambi manager del famoso e stupendo Desert Mountain Golf Club di Scottsdale, in Arizona, mi raccontano di numeri in grande aumento.
Con il picco della domanda, i green fee che a lungo hanno solo seguito gli aumenti dell’indice dei prezzi al consumo, stanno salendo.
L’associazione americana dei proprietari di campi da golf (National Golf Course Owners Association) dichiara ufficialmente che “il comparto sta raggiungendo gli obiettivi di budget nonostante i problemi del Covid”.
Più difficilmente recuperabile è il denaro scomparso quando i proprietari dei campi sono stati costretti a chiudere i driving range, a limitare o interrompere la ristorazione nei club, ad annullare i tornei e gli eventi speciali.
Ma nonostante ciò, qualcuno sostiene che, a lungo termine, potrebbe essere difficile per i proprietari e gli operatori sostenere il recente aumento di interesse.
Così come fu difficile sostenere il boom provocato da Tiger Woods alla fine degli anni ‘90.
Che musica per le orecchie degli appassionati! Joe Beditz dichiara ancora: “Stiamo apprezzando un flusso importante di persone che si avvicinano al gioco.
C’è stata un’ondata di principianti e giovani che giocano a golf. Il numero di giocatori di età compresa tra 6 e 17 anni è cresciuto notevolmente rispetto agli anni precedenti.
La nostra migliore stima attuale è quella che potremmo vedere un aumento di mezzo milione di giocatori di golf junior entro la fine dell’anno (+ 20%).
La domanda a cui rispondere è come sempre quella: saremo in grado di convertire questi giovani volti nuovi in golfisti affezionati? Saremo capaci di fidelizzarli?”.
Alla fine, nonostante il Covid, oggi i numeri dei giocatori americani sono aumentati leggermente rispetto ai 24,2 milioni di giocatori di golf previsti l’anno scorso.
Le sofferenze patite, che sono costate sia tempo che denaro, stanno lasciando il posto ad un po’ di aria fresca e di positività.
Guardo i dati sinora presentati e mi viene subito in mente uno degli assunti più utilizzati da chi vuole presentare il golf come uno sport davvero virtuoso, un incontro positivo, uno di quelli che ti può cambiare la vita.
È ormai unanimemente riconosciuto che il golf faccia bene alla salute di chi lo pratica.
Lo confermano una montagna di studi scientifici: il golf ha effetti benefici sull’apparato muscolare e scheletrico, sul miglioramento del sistema cardiovascolare.
È un’attività sportiva adatta a tutti, dai più giovani agli anziani, senza contare la sua componente preziosissima rappresentata dal contatto con la natura e i suoi benefici sull’autostima e la concentrazione di chi lo gioca.
L’elemento importantissimo rappresentato dalla sua incidenza sulla qualità generale della vita di chi lo pratica a prescindere dall’età, farebbe del golf uno degli sport più facilmente promovibile.
Tante belle parole che hanno il destino di esprimere verità vere, ma troppo spesso colte in Italia come espressioni di luoghi comuni che lavano via l’interesse senza manco inumidirlo.
Allora: il golf fa sicuramente bene alla salute e ciò rappresenta un elemento fondamentale della sua forza per attirare interesse.
Non esiste sua presentazione che non abbia come cappello la capacità di garantirti una qualità di tempo libero migliore, un’attività benefica, una tisana di tante buone e belle cose da vivere.
Ciò che accade oggi al golf degli Stati Uniti, nonostante il virus, parla chiaro sulla sua forza di trovare consenso tra chi vuole fare sport.
È incredibile: mi sembra che il destino sia sempre quello di dover affermare l’ovvio, quello che fuori casa hanno già capito e qui non trova invece soddisfazione.
Dalla nostra umile bancarella di chi il golf ha interesse a promuoverlo perché gli riconosce tutte le sue virtù, perché lo ama, lo ha avuto amico nella sua vita, o perché ha rappresentato un elemento del suo lavoro, in un periodo nel quale le imposizioni del Covid hanno risvegliato la necessità di un confronto con la natura, noi abbiamo il nostro super prodotto da far conoscere.
E senz’altro uno dei migliori a disposizione, un toccasana da far gustare in tutte le salse, che deve aiutare a far superare le tante difficoltà del momento.
Un tamburo da battere in un momento difficile ma utile per farne apprezzare le qualità.
Vedere ancora oggi i nostri campi poco frequentati, con una stagione invernale alle porte, ha purtroppo e più che mai il senso di un’occasione mancata.