Sul tee della 18 (per lei la nona buca da giocare in quel giro), Annika Sorenstam disse una cosa piuttosto strana al suo caddie. “Terry, ho bisogno di fare un par. Devo abbassare il livello di tensione.” McNamara l’aiutò con un’accurata scelta dei bastoni: due colpi, green e putt. Annika lo ringraziò e disse: “Adesso sono pronta per altri birdie”.
Il fatto è che la straordinaria fuoriclasse svedese di birdie ne aveva già otto sullo score. E cioè uno in tutte le buche precedenti, per un sensazionale 28 al giro di boa. Non fu molto da meno sulle seconde nove, chiuse in 31 colpi. Totale: 59, 13 sotto il par, punteggio mai segnato da una giocatrice sui grandi Tour mondiali.
Era il 16 marzo 2001 e da allora quel fantastico record non è stato nemmeno eguagliato. Due decenni dopo, Sorenstam rimane l’unica nella storia dell’LPGA ad aver girato in 59, un fatto che anche lei trova sorprendente.
In quel giorno storico, sul Moon Valley Country Club in Arizona (5.900 metri), raggiunse tutti i green in regulation, mancando un solo un fairway per 15 centimetri, e chiuse le buche con soli 25 putt.
Dopo di lei, cinque giocatrici sono riuscite a riportare in clubhouse uno score di 60 colpi. L’ultima, nel 2008, era stata Paula Creamer, fino al risultato fatto registrare lo scorso gennaio da Jessica Korda al Tournament of Champions.
Sul fronte maschile del PGA Tour, si contano ben 40 score di 60 colpi, 11 di 59 e uno, record assoluto, di 58, stabilito da Jim Furyk nel 2016. Questo dato da solo dice chiaramente come il decalage per le giocatrici sia insufficiente per poterle paragonare agli uomini.
Per le donne, anche parlando di una proette lunga come Brittany Lincicome, è difficile raggiungere con due colpi un par 5 più di un paio di volte durante il torneo, con forte limitazione dello spettacolo.
Uno degli analisti di Golf Challenge ha messo insieme numerose statistiche e determinato che, per essere alla pari, le proette dovrebbero giocare su un percorso di 5.400 metri a fronte dei 6.700 degli uomini. Una differenza molto maggiore a quella che si incontra nelle poche gare “miste” dei circuiti mondiali.