Abu Dhabi: data astrale 4.2.2022. Un po’ come il mitico Capitano Kirk, a bordo della sua Enterprise nella famosa serie televisiva Star Trek, mi ritrovo a scrivere nel diario della mia vita un’altra tappa del mio percorso golfistico.

Pur essendomi ormai rassegnato da tempo a una carriera da giocatore (visti gli scarsi risultati), quando posso cerco sempre di trovare stimoli per dedicarmi alla pratica. In qualche ritaglio di tempo o magari a ridosso della chiusura del circolo che gestisco.

L’occasione può essere un Campionato PGAI o Nazionale, o una gara dell’Alps Tour. Questa volta invece, a farmi sprofondare nelle tenebre, è stata quella che teoricamente dovrebbe essere un’occasione di solo relax e divertimento, una Pro-Am.

Non facendo più lezione da quando sono diventato General Manager, mi piace condividere questo genere di manifestazione con gli amici. Prima della pandemia avevamo iniziato a fare delle Pro-Am negli Emirati Arabi, e più precisamente ad Abu Dhabi. Il perché è molto semplice: sole, posti suggestivi, campi di una bellezza unica e soprattutto la perfezione in termini di manutenzione.

Quest’anno, grazie alla negatività dei tamponi molecolari, vaccini e procedure di registrazione, siamo riusciti a tornare in quello che fino a una settima fa lo ritenevo un paradiso. Ora, invece, appena atterrato in Italia, lo ricordo come una discesa senza ritorno negli inferi più profondi.

Pensavo di aver trovato – grazie al supporto di Matteo Niglio a Terre dei Consoli e alla super consulenza di Massimo Scarpa – un equilibrio, sia tecnico che mentale. Avevo lavorato sul “grippare” come quando ero adolescente, sull’azione dei fianchi nel downswing e su una routine che mi desse la sensazione di avere una pausa di due secondi all’apice del backswing.

Questo lavoro e le sensazioni che ne venivano fuori mi avevano molto tranquillizzato perché negli ultimi due mesi i miei colpi belli erano sempre di più. Con facilità alternavo draw e fade e, la cosa più importante, i miei “ bad shots” erano diminuiti mostruosamente, e quei pochi non facevano così tanti danni come una volta.

Morale della favola, giro di prova allo splendido Yas Links (sede della prima Rolex Series del DP World Tour 2022) tanti fairway, tanti green, colpi pieni e solidi… fino alla 16. Due brutti ganci con il ferro 2 (acqua a sinistra e vento contro) e una palla presa sul tacco del bastone improvvisamente mi mettono agitazione. Buca 17 par 3, colpo pesante, buca 18 par 5, drive brutto e preso sulla punta.

Vado a dormire nervoso, agitato, preoccupato

È vero che è solo una Pro-Am, ma giocando con i miei amici ci tengo a far bella figura e a trascinarli alla vittoria. Questo aumenta ancora di più la mia ansia al risveglio del mattino. Mi presento al campo pratica, solita routine e solita umiltà. La speranza è quella che le nubi arrivate alla 16 del giorno prima si siano dissolte.

Il giro parte bene, gioco forse un po’ troppo con prudenza, o forse dentro di me sapevo che la luce si stava per spegnere del tutto. Mi presento sul tee della 8 uno sopra il par, ma qualcosa si è rotto. Le restanti 46 buche hanno rappresentato probabilmente il momento più mortificante della mia vita golfistica.

La paura di sbagliare, e conseguentemente la ricerca delle zone meno pericolose o che permettessero più margine di errore, avevano sopraffatto il coraggio e il focus positivo. Potrei stare qui a elencarvi la quantità di colpi orrendi e mai giocati, o la paura fottuta che avevo ogni volta che impugnavo un ferro. Sembrava come se all’improvviso mi avessero tolto la mia memoria da giocatore…

Ho rimesso l’asta alla 18 del terzo giro esausto, tramortito, consapevole di essere entrato in un tunnel molto lungo, senza sapere se avrò nuovamente voglia di riprovarci o se abbandonare l’idea di mettermi in gioco.

Questa volta il buio mi ha veramente spaventato…