A prima vista Adam Scott è molto simile al ragazzo che, nel 2000, ha deciso di lasciare il college e diventare un golfista professionista.
Ha ancora lo stesso aspetto da bravo ragazzo e il sorriso splendente. Il suo swing da manuale rimane l’invidia dei giovani golfisti di tutto il mondo.
Ma Adam Scott non è più solo un bel giovane in grado di toccare la palla come pochi al mondo.
Dal 2000 è cresciuto notevolmente sia come persona che come giocatore. Ora, fresco dei 40 anni, festeggiati il 16 luglio, è diventato uno dei leader mondiali del golf ma anche un buon padre di famiglia con una moglie e due bambini piccoli.
Come ogni grande campione il suo obiettivo numero uno restano i major. “Vincere tornei è sempre un successo ma con il mio staff ci siamo concentrati ora soprattutto su quelli dello Slam. Mi piacerebbe vincerne uno entro la fine dell’anno. Il mio obiettivo è quello di rimanere nelle posizioni che contano del World Ranking che rispecchia il mio attuale stato di forma”.
Adam Scott è tornato in forma all’inizio del 2020, quando ha posto fine alla mancanza di vittorie che durava ormai da quattro anni con il trionfo nel Genesis Open sul percorso del Riviera.
Il successo gli ha consentito di rientrare tra i primi dieci del mondo, classifica dove era scivolato sino al 82° posto nel luglio 2018.
Quella del Riviera è stata la sua 14ma vittoria in carriera sul PGA Tour arrivata dopo 74 tornei dalla precedente. Scott ha ammesso la difficoltà della lunga astinenza, anche se non è stato nulla in confronto al brutto momento del 2009, a seguito di un infortunio al ginocchio causato dal surf.
“Rimanere così a lungo senza vittorie ti fa venire dubbi sulla direzione che stai seguendo. Il successo al Genesis è servito ad avere conferme anche moralmente. Il mio obiettivo è quello di essere sempre competitivo e aumentare il numero di titoli sul PGA Tour”.
Nonostante la sua più grande gioia rimane la sua storica vittoria al Masters nel 2013, quando è diventato il primo australiano a indossare la Giacca Verde, la sua media nei major è invidiabile con 19 piazzamenti tra i top 10 in 74 partenze.
Nel 2019 ha terminato pari merito all’ottavo posto nel PGA Championship, settimo allo U.S. Open e ha vinto l’Australian PGA Championship per la seconda volta in carriera.
“Mi piacerebbe pensare che la maggior parte dei miei successi debbano ancora arrivare – ha detto Scott – Per me si tratta di vincere altri major, reale metro di giudizio della mia carriera. La vittoria in uno di questi tornei non arriva per caso. Forse può succedere una volta, si può avere fortuna in un’occasione, ma non quando si diventa multi major winner.
Per raggiungere i miei obiettivi non posso affidarmi alla fortuna. Sono consapevole che c’è molto lavoro da fare, ma mi sento di essere sulla buona strada. Ci sono stati diversi cambiamenti durante la mia vita professionale e personale negli ultimi anni. Mi ci è voluto un po’ di tempo per capire come bilanciare il tutto. Penso di essere su una buona strada ora”.
Scott è appaiato a Bruce Crampton quale terzo australiano più vincente del PGA Tour. Solo Greg Norman (20) e Jim Ferrier (18) hanno ottenuto più titoli.
Tuttavia, la vittoria in un secondo major eleverebbe Adam Scott a un livello differente. Ci sono stati infatti 223 giocatori vincitori di un major ma solo 82 – incluso Norman – multi winner negli Slam.
Adam Scott ha già le credenziali per essere ammesso nella Hall of Fame?
I suoi numeri attuali rispecchiano quelli dell’americano Hal Sutton. Entrambi ha vinto il Players e un major. Sutton ha ottenuto “solo” otto top ten in 68 presenze nei major e non ha conseguito successi per le prime otto stagioni sul PGA Tour.
L’americano era in lizza per entrare nella Hall of Fame già nel 2021 e quasi sicuramente ci riuscirà nei successivi anni. Sutton però ha una voce nel proprio curriculum che Scott non potrà mai avere: capitano della squadra USA in Ryder Cup nel 2004. Scott potrebbe ambire a guidare il team internazionale alla Presidents Cup, ma per ora è ancora uno dei protagonisti sul campo del torneo.
Ha fatto parte della squadra per ben nove volte ed è stato vice-capitano, seppur non ufficialmente, con Ernie Els nel 2019 al Royal Melbourne in Australia.
In quell’occasione l’International Team ha sperperato un grande vantaggio lasciando al termine la vittoria ancora una volta agli statunitensi.
“Sarebbe incredibilmente deludente se dopo tutte queste apparizioni non ottenessi mai una vittoria in una Presidents. Sento che mi mancherebbe qualcosa. Negli ultimi anni ho messo tutto me stesso per la squadra ma finora con scarsi risultati. Domenica sera alla fine dei singoli non è mai divertente ripartire senza la coppa”.
Il sudafricano Trevor Immelman, anch’egli campione Masters, sarà il capitano della squadra nel 2022 mentre Scott dovrebbe essere il prossimo a guidare il team nel 2024.
Durante il lockdown a maggio si è offerto per disputare un torneo esibizione su nove buche trasmesso in streaming contro il pro locale Wayne Perske al Maleny Golf Club nel Queensland.
Il match – con un simbolico premio di 5 dollari – si è concluso all-square con Perske che ha mancato un facile putt all’ultima buca per la vittoria.
Tutt’altra posta in gioco rispetto ai milioni di dollari a cui i giocatori del PGA Tour sono abituati settimanalmente.
“Il desiderio di tornare in campo è più forte che mai. Mi sento tranquillo e credo fermamente nelle mie capacità. A molti può sembrare arroganza ma io la chiamo solo fiducia in se stessi”.