Che cosa ci fa il titolo di una canzone abbastanza datata su un articolo che dovrebbe parlare di golf? A proposito, vi è venuto in mente quel motivetto così orecchiabile? Più o meno come fa un piccione… Carino vero? Bene, ora vi spiego.
In realtà non sto parlando di un volatile da prendere ad esempio per trattare i problemi della vita come si evince nel testo della canzone. Ho un po’ giocato con i vocaboli e in particolare con una omofonia che ogni giorno è al centro dei discorsi in clubhouse. Sto parlando del pitch, anzi del grosso pitch, insomma, detto all’italiana, del “piccione”.
I Circoli sono pieni di cartelli che richiamano all’etichetta e in particolare a rimettere a posto il danno della pallina. Questo gesto dovrebbe essere semplice e automatico, mentre a giudicare dalle condizioni dei green a fine giornata parrebbe difficile e poco intuitivo. Ma perché?
Se chiedi a un giocatore in Segreteria o al bar molto probabilmente risponderà: “È una cosa inaccettabile, oggi da solo ne ho rimessi a posto 2 o 3 per ogni green. Nessuno gira, nessuno controlla, dovete seguire i giocatori che vengono dagli altri Circoli”.
Falso? Vero? Forse a metà… Certamente vale la pena fare un esercizio di memoria e ricordarsi le condizioni dei green al termine di una giornata dove hanno giocato solo i soci. Siete così sicuri di trovare dei biliardi di erba? Provare per credere.
È vero, ci dovrebbero essere più controlli. Ma lasciatemi fare due riflessioni. La prima è che oggigiorno nei circoli non c’è più il personale sufficiente, soprattutto in settimana, per dedicare tempo a controlli lunghi e particolareggiati come quello dei pitch.
La seconda è molto più semplice e diretta: ma perché mai si deve perdere tempo prezioso (che per esempio andrebbe dedicato alla velocità di gioco, problema che ha anche importanti risvolti economici per il club e che incidono sulla soddisfazione del cliente) per controllare un gesto che è esclusivamente un atto dovuto, una forma di educazione e di rispetto nei confronti del campo, degli altri giocatori e di sé stesso?
È utile sapere che un pitchmark richiede solo 15-30 secondi per essere riparato correttamente mentre un pitchmark raccolto in modo errato richiede più di tre settimane per guarire.
Prestate attenzione: gli studi hanno dimostrato che, in media, un giocatore di golf fa 8 pitchmark durante una partita. In una delle nostre giornate del weekend quindi, con circa 150 giocatori, dobbiamo considerare che i green saranno feriti da oltre 1200 segni. Ah, che nostalgia per i nostri cari e vecchi caddie… che facevano addirittura la scuola all’interno dei club per conoscere bene i propri compiti.
Anche le modalità di ripristino, infatti, sono importanti. Molti giocatori non conoscono il modo giusto per riparare la ferita e fanno ancora più danno che se non lo avessero toccato.
Tornando ai caddie, vi prego di non credere alle leggende in merito alla regolarità e precisione maggiore dei vecchi golfisti rispetto ad oggi. Certo, c’erano molti meno praticanti e si accedeva al percorso dopo almeno un anno di campo pratica con un 24 di handicap più o meno in tasca.
Inoltre l’iniziazione al gioco sul campo passava dal rigido giudizio e sguardo dei vecchi membri del Club, ma non dimenticate che c’erano oltre 100 caddie in ogni circolo e che esclusivamente a loro era demandato il compito di cura del campo, pena la perdita della paghetta.
I caddie oggi sono solo un lontano ricordo, sostituiti dai carrelli elettrici che però non sono certo capaci di individuare il danno e risistemare i fairway, i bunker e i green.
Questa è la normale parte negativa del progresso che ci offre grandi opportunità spersonalizzando però il servizio. E quindi non abbiamo alternativa: se non vogliamo perdere i nostri campi dobbiamo sensibilizzare il socio.
È necesario quindi creare campagne di sensibilizzazione da parte degli addetti ai lavori, riuscire a porre un rimedio attraverso il convincimento, trovando nel giocatore un partner ideale.
Pensate che all’estero si è già superata la fase del richiamo verbale, e successivamente scritto, che va per la maggiore nei nostri circoli. Direttori, segretari e marshall hanno percepito che non serve a molto la linea dura ma piuttosto creare una sinergia con il giocatore facendogli capire quanto lui sia importante per risolvere il problema.
In alcuni club viene addirittura offerta una birra a chi viene fotografato mentre risistema il danno della pallina. Non raccontatelo in giro perché soprattutto d’estate questa campagna rischierebbe di costarci una cifra e io, da direttore di Club genovese, me ne guardo bene…
Recepire il messaggio, però, significa cercare delle soluzioni più funzionanti di quello che ormai da anni stiamo facendo con risultati altalenanti e non certo eccellenti. Chissà che non possa aiutare insegnare la canzoncina, proprio quel motivetto che ti viene in mente ogni volta che ti avvicini al green…
”Più o meno come fa un piccione, lo so che è brutto il paragone!”.